Difficili da estrarre e isolare dagli altri elementi, le terre rare si trovano anche negli smartphone. Risorse spesso dimenticate che è invece importante valorizzare. E riciclare.
Ci sono 186mila aziende che vendono i nostri dati a Facebook
A volte abbiamo la sensazione che il nostro telefono ci ascolti, ma la realtà è ben peggiore. C’è qualcuno che vende i nostri dati.
“Il mio smartphone mi sta ascoltando?”, è una domanda che molte persone si sono poste almeno una volta nella loro vita, un interrogativo che sorge spontaneo in quei momenti un po’ inquietanti in cui vediamo comparire su qualche social network una pubblicità a un prodotto di cui abbiamo appena parlato con qualcuno. E che, giuriamo, di non aver mai cercato su Google. In alcune occasioni, questo tipo di coincidenza è troppo marcata per poter nascondere il complotto, e quindi: lo smartphone ci ascolta. Deve farlo. O forse sono le app di Facebook, Instagram e Tiktok a spiarci.
O forse no.
Il nostro smartphone non ci ascolta, ma…
In realtà, questa teoria è stata smontata e smentita molte volte. No, quindi, gli smartphone non ci ascoltano, non possono farlo e se alle volte la pubblicità sembra leggerci nel pensiero, o spiare le nostre conversazioni, è perché i sistemi di tracciamento e profilazione dei social network sono molto più capaci di quello che pensiamo. Non si tratta di magia, ovviamente: quello di Meta, il gruppo che comprende Facebook e Instagram, tra gli altri servizi, è tra i più sofisticati e potenti servizi pubblicitari del web e del mondo. E Meta non lavora da sola: come ha scoperto la rivista Consumer Reports (qui il report), che si occupa di effettuare test imparziali sui prodotti e dare consigli ai consumatori, ogni utente viene seguito e studiato da migliaia di aziende d’ogni dimensione, che a loro volta vendono i dati raccolti a Facebook.
I nostri dati venduti da “broker”
Lo studio, che è stato effettuato in collaborazione con il sito The Markup, ha interessato 709 volontari; in tutto, le aziende che conservavano informazioni su di loro era più di 186mila. In un caso, si legge nel documento, circa 48mila aziende avevano dati su uno di questi volontari. Il valore medio è stupefacente: per ciascun partecipante c’erano 2.230 aziende di questo tipo, pronte a vendere informazioni a Facebook. In uno degli scenari citati come esempio, un utente che scarica un gioco mobile produce dati e informazioni che passano dal server legato al gioco e finiscono a Facebook; in altri casi a fare da tramite sono veri e proprio “broker” di dati, che comprano informazioni sugli iscritti a un centro sportivo per poi rivenderli a un produttore o rivenditore di scarpe da ginnastica, che le usa per creare target più precisi di vendita, che finisce per comprare spazi pubblicitari su Facebook.
Uno di questi broker, un’azienda chiamata, LiveRamp, compare nel 96 per cento dei dati dei partecipanti. L’inchiesta è stata effettuata negli Stati Uniti per il pubblico locale e mostra la presenza sia di aziende d’enorme dimensioni (Walmart, Amazon, Home Depop) che di realtà molto più piccole e “sorprendentemente ben rappresentate”, come nel caso di un concessionario d’auto di una cittadina texana che “copriva da solo il dieci per cento dei volontari dello studio”.
Il sito The Markup ha ricordato che chiunque può vedere, e scaricare, un file con tutti i dati che aziende terze hanno spedito a Facebook, visitando questo link. Per accedere alla lista di aziende esterne che hanno condiviso informazioni su di voi, basta cliccare su “Le tue attività fuori dalle tecnologie di Meta” e poi su “Attività recente”. Dopo aver reinserito la password, è possibile scegliere “Scollegare attività precedente” per prevenire questo tipo di condivisione di dati. In alternativa, da qui si può scaricare un archivio con tutte le informazioni che Facebook (Meta) ha su di te.
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