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Sono passati cinque anni dall’11 marzo del 2011, il giorno in cui in Giappone si è verificato il disastro naturale più grave degli ultimi dieci anni. L’incidente alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi è avvenuto in seguito a un maremoto di magnitudo 9.0, talmente forte che ha spostato permanentemente più di due metri a est
Sono passati cinque anni dall’11 marzo del 2011, il giorno in cui in Giappone si è verificato il disastro naturale più grave degli ultimi dieci anni. L’incidente alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi è avvenuto in seguito a un maremoto di magnitudo 9.0, talmente forte che ha spostato permanentemente più di due metri a est la principale isola del Giappone scatenando uno tsunami che ha compromesso i reattori della centrale. Ora che sono morte più di 20mila persone e centinaia di migliaia sono rimaste senza una casa, in Giappone restano ancora delle questioni irrisolte. Anche se sono stati fatti progressi, c’è ancora molta strada da fare perché il paese si riprenda dalla catastrofe.
Coloro che abitavano nella zona rossa, che si trova entro un raggio di 20 chilometri dalla centrale nucleare, non possono tornare nelle proprie case a causa degli altissimi livelli di radiazioni. La popolazione sta cercando di boicottare il tentativo del primo ministro Shinzo Abe di riaprire le centrali nucleari del paese che erano state chiuse dopo il disastro. Tuttavia la Tokyo Electric Power Company (Tepco), che gestiva la centrale di Fukushima Daichii, sostiene che l’energia nucleare è la forma di energia migliore per il Giappone, a meno che il paese non abbia intenzione di peggiorare il suo impatto ambientale e dipendere da fonti importate dall’estero. Nel frattempo la battaglia legale continua: di recente, tre ex dirigenti della Tepco sono stati accusati di negligenza professionale.
Per quanto riguarda la fase più complessa delle operazioni di pulizia, ossia la rimozione del materiale fissile ad alta radioattività che è stato trovato sul fondo dei reattori, la Tepco non ha ancora messo a punto un piano. Il costo monetario sarebbe stellare: ci potrebbero volere fino a quarant’anni e oltre 20 miliardi di dollari per decontaminare e smantellare la centrale. Il costo dei danni, che comprende il risarcimento alle persone evacuate, ammonterebbero a più di 100 miliardi di dollari. Il governo ha già speso più di 1,5 miliardi di dollari per raccogliere e riporre in centinaia di sacchi neri il terreno radioattivo della zona dove è avvenuto il disastro.
Ma una nota positiva c’è: nel reattore numero quattro sono state rimosse 1.500 barre di combustibile nucleare esaurite. La Tepco si sta anche impegnando a ridurre le 400 tonnellate di acqua piovana e di falda che ogni giorno risalgono nei sotterranei della centrale in modo da evitare che vengano contaminate e che necessitino di essere trattate e immagazzinate. Inoltre in alcune parti del sito gli operai possono andare in giro senza le maschere proteggivolto e le tute hazmat (dall’inglese hazardous materials, materiali pericolosi).
Tocca ai robot pulire le scorie
Guardando al futuro, la questione più urgente da risolvere è quella dei reattori. Ancora non si sa dove siano le scorie nucleari e come pulirle. Dato che noi umani non sopravviveremmo se entrassimo in contatto con esse la Tepco ha deciso di affidare a dei robot il compito di pulire i vasi di contenimento, anche se in passato questo piano si è rivelato inefficace.
Al di fuori del Giappone e in particolare nella costa occidentale dell’America del Nord, c’è ancora molta preoccupazione perché i livelli di radiazione che hanno raggiunto la costa che si affaccia sull’oceano Pacifico sono più alti di quanto si pensasse. In una ricerca effettuata dallo studioso di radiochimica marina Ken Buesseler è stato rivelato che la quantità di cesio nelle acque al largo dell’isola di Vancouver, in Canada, è circa sei volte maggiore rispetto al periodo in cui questo metallo tossico è stato introdotto per la prima volta negli oceani a seguito di un test su una bomba nucleare, una pratica che è stata abolita nel 1963. Questo alto accumulo di cesio nel Pacifico sembrerebbe in continuo aumento.
Nel 2012 l’Organizzazione mondiale della sanità ha rivelato che nei luoghi in cui sono presenti livelli più alti di radiazioni il rischio di contrarre certe forme di cancro come la leucemia e il cancro alla tiroide è maggiore del 4-7 per cento. Tuttavia è ancora troppo presto per poter dire quali saranno gli effetti a lungo termine del disastro. Gli effetti sulla salute potrebbero aggravarsi sia in Giappone che nelle altre nazioni colpite dalla catastrofe.
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