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Le radiazioni sono al di sotto dei limiti, come confermato dalle ricerche del professor Hayano e dagli studenti che vivono nel distretto di Fukushima.
I livelli di radiazioni riscontrati nel cibo prodotto nel distretto di Fukushima, sono gli stessi che si possono riscontrare a Parigi, o Roma. Ovvero praticamente nulli. A quattro anni dell’incidente alla centrale nucleare giapponese, in seguito al terremoto e al conseguente tsunami dell’11 marzo 2011, le misurazioni effettuate su riso, acqua, pesce e mele risultano essere al di sotto dei rigidi limiti imposti dal Governo giapponese (10 volte più bassi che in Europa o negli Usa).
A renderlo noto sono diverse ricerche, alcune delle quali condotte dagli stessi studenti del liceo di Fukushima e presentate a Milano in occasione dell’incontro “Fukushima – Food Safety Conference”. I risultati sono stati riportati dal professor Ryugo Hayano, professore di Fisica presso l’Università di Tokyo che, dopo il disastro del 2011, si è occupato della vicenda tentando di fornire informazioni in tempo reale, in particolare via social network. In poco tempo è diventato uno dei 100 scienziati più influenti su Twitter.
“Fino ad oggi non c’è stata nessuna morte correlata alle alte dosi di radiazioni”, esordisce il professor durante la sua presentazione. Dell’intero distretto, che misura 14 mila chilometri quadrati, sono circa 20 i chilometri quadrati ancora oggi inaccessibili, a causa degli alti livelli radioattivi. Ma per la prima volta quest’anno il tasso di radioattività rilevato – di Cesio 134 e 137 – sulla produzione di riso del 2014 risulta inferiore ai 100 Bq/kg (Bequerel per chilo). I valori misurati erano inferiori ai 25 Bq/kg, quando i limiti europei e americani si aggirano sui 1000 Bq/kg. Dal 2012 ogni anno vengono misurati più di 10 miliardi di sacchi di riso: se nel primo anno furono identificati 71 sacchi con valori limite, nel 2013 il valore scese a 28 per arrivare a 0 lo scorso anno. Lo stesso vale per la frutta e la verdura coltivate nella zona, dalle mele alle pesche, alle zucche, agli asparagi. Per fare un raffronto, assumere per un anno giornalmente cibo con un valore di 25 Bq/Kg equivale ad accumulare tanta radioattività quanta quella di un unico volo Roma-Tokyo di 12 ore.
Non ci sono solo i controlli governativi a monitorare la situazione nella Prefettura di Fukushima. Sono gli stessi studenti del liceo della città a condurre ricerche ed esperimenti misurando i livelli di radiazioni dentro e fuori la scuola da loro frequentata: oggi i livelli vanno dai 0,7 ai 0,1 mSv (0,1 mSv corrispondono a mangiare una banana, mentre un volo New York Los Angeles ne misura 40 mSv). “Appenda successo non potevamo uscire o andare a scuola”, racconta una delle studentesse. “All’inizio non volevo che la gente sapesse da dove venivo perché ero spaventata e confusa. Molti credevano che non ci fosse nessuno a Fukushima. Oggi invece cerchiamo di fare capire che il cibo è sicuro”. Per questo la stessa scuola organizza degli scambi culturali con studenti delle scuole superiori di tutto il mondo, per diffondere una reale conoscenza di ciò che sta accadendo oggi intorno all’area colpita.
Con ciò non significa che l’area intorno al reattore sia sicura, o che non ci siano o ci saranno problemi a lungo termine. Ma qualcosa da quel giorno è cambiato, in particolare nelle nuove generazioni: “Sono ancora un po’ spaventata dalla centrale nucleare. Se potessi scegliere non costruirei un reattore, ma punterei sulle energie pulite, come sole, vento e acqua”.
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