La Giordania vive un momento difficile, tra cospirazioni e proteste di piazza

Il principe Hamzeh e diversi funzionari della Giordania sono stati arrestati e accusati di cospirare per un colpo di stato. Intanto cresce il malcontento della popolazione.

Non c’è un bel clima in Giordania e il timore è che i problemi politici, economici e sociali interni possano creare un effetto domino in Medio Oriente. Il 3 aprile è stato arrestato il principe Hamzeh bin Hussein, fratellastro del re Abdullah II, con l’accusa di stare tramando un colpo di stato assieme ad altri funzionari. Una vicenda dai contorni poco chiari, che sembra essere rientrata nelle scorse ore dopo che Hamzeh ha giurato lealtà al regno, ma che è comunque indicativa di una situazione tesa. Sullo sfondo, cresce il malcontento della popolazione, che negli ultimi tempi è scesa in piazza in diverse occasioni per la malagestione della pandemia, con tanto di dimissioni del ministro della Salute, per la crisi economica di un paese che ha nel turismo un suo pilastro e per una certa erosione delle libertà, ultimo lo scioglimento del sindacato degli insegnanti.

Colpo di stato reale o presunto?

La sera del 3 aprile il principe Hamzeh bin Hussein ha diffuso un video in cui raccontava di trovarsi ai domiciliari. Hamzeh è figlio dell’ormai defunto re Hussein ed è il fratellastro minore di Abdullah II, sovrano della Giordania dal 1999. Nel 2004 il suo titolo di principe ereditario è stato revocato per essere trasferito al figlio di 10 anni dell’attuale re, ma Hamzeh ha continuato a rivestire ruoli monarchici e nell’esercito. 

Non c’è grande chiarezza dietro ai motivi dell’arresto, che hanno riguardato anche una ventina di funzionari tra cui l’ex ministro delle Finanze Bassem Awadullah, ma fonti dell’intelligence hanno parlato di un piano articolato per rimuovere il re, che coinvolgeva personalità politiche, militari e perfino una forza straniera. Il vicepremier giordano ha raccontato di un complotto malizioso transnazionale in cui era coinvolto anche il principe, una versione da subito smentita da Hamzeh, che ha bollato l’arresto come un tentativo di silenziare le sue critiche al paese. “Non sono io il responsabile del declino nella governance, della corruzione e dell’incompetenza che sono state prevalenti nella struttura di governo degli ultimi 15-20 anni, peggiorando di anno in anno”, ha dichiarato, denunciando il clima sempre più intimidatorio che si respira nel regno.

Da subito la reazione internazionale è stata di grande sostegno al re. L’Unione Europea, gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita, Israele e altri stati hanno espresso solidarietà ad Abdullah II, un po’ tutti consapevoli dell’importanza per il Medio Oriente di una Giordania stabile e lontana da tensioni e crisi interne. E nelle scorse ore è arrivato il dietrofront dello stesso principe Hamzeh, che ha abbassato i toni critici che già in passato lo avevano contraddistinto e ha giurato fedeltà al regno, facendo presupporre la fine della vicenda. Eppure i fatti di questi giorni sono solo la punta dell’iceberg di tensioni all’interno della famiglia reale che andrebbero avanti da tempo, questo mentre crescono i problemi sociali ed economici nel paese.

Esplode il malcontento

La Giordania è considerata una culla di stabilità in un Medio Oriente spesso caotico ed è per questo che gli equilibri regionali poggiano anche sulla pace che si respira ad Amman. La pandemia ha però sparigliato le carte in tavola, innescando un effetto domino che dall’ambito sanitario si è esteso alla società e all’economia. Il paese basa una fetta importante del suo Prodotto interno lordo sul turismo, circa il 20 per cento, ed è quindi normale che le restrizioni internazionali da un anno a questa parte abbiano avuto pesanti ripercussioni. Molte aziende hanno chiuso, altre hanno licenziato il personale e il tasso di disoccupazione è salito in un anno di quattro punti percentuali, assestandosi alla fine del 2020 al 23 per cento circa. 

Una situazione che sta creando malcontento sociale e a cui si è aggiunta la malagestione della pandemia da un punto di vista sanitario. A marzo il ministro della Salute Nathir Obeidat si è dimesso dopo che sei pazienti dell’ospedale di Salt sono morti a causa di una carenza di ossigeno nel reparto Covid-19. Questo, in un paese dove il virus ha finora causato 645mila contagi e oltre 7mila decessi, su una popolazione totale di circa 10 milioni di persone. 

A questo, infine, si aggiunge una certa erosione delle libertà dei cittadini negli ultimi tempi, con i media, i sindacati e più in generale il dissenso che vedono restringersi il proprio campo di azione sotto il giogo di leggi para-autoritarie applicate in modo particolarmente intransigente. A dicembre, per esempio, è stato sciolto il sindacato degli insegnanti e alcuni suoi dirigenti sono stati arrestati e condannati a un anno. Questo mix di ingredienti ha fatto sì che negli ultimi mesi siano tornate le manifestazioni di piazza, portate avanti soprattutto dalle nuove generazioni. Le tensioni all’interno della famiglia reale, i colpi di stato effettivi o presunti in via di elaborazione, rischiano allora di trasformarsi in una miccia per la destabilizzazione della Giordania e del Medio Oriente, nonostante al momento il pericolo sembra sia rientrato, quanto meno politicamente.

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