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Una associazione animalista, David Sheldrick Wildlife Trust, ha calcolato quanto vale un elefante vivo. E ha scoperto che…
Un elefante vivo vale molto, molto di più di uno morto. Per la precisione, circa 75 volte di più, fino a 1.300.000 euro. E’ quanto afferma Dead or alive, il rapporto a cura dell’associazione animalista David Sheldrick Wildlife Trust che, puntando sull’argomento economico con la campagna iworry, spera di sensibilizzare gli stati africani ad intervenire nella delicata questione del bracconaggio.
Quest’anno, fino al mese di agosto, nel continente nero sono stati uccisi 20.000 elefanti; si conta addirittura che tra il 2010 e il 2012 i bracconieri abbiano causato la morte di oltre 100.000 di questi pachidermi. E il motivo è sempre lo stesso: l’avorio, che per le organizzazioni criminali africane risulta un traffico molto più redditizio dei diamanti e della droga.
Le corna di un esemplare ucciso possono valere dai 200 ai 22.000 euro. Un elefante che vive in media 70 anni, secondo le stime del rapporto, grazie alle pratiche sempre più diffuse dell’ecoturismo, può fruttare circa 18.000 euro all’anno. Facendo il conto, si arriva appunto a oltre un milione di euro a elefante. Il vantaggio sarebbe duplice, per gli animali, che non verrebbero uccisi, e per le comunità locali, che attraverso un turismo responsabile ptrebbero risollevare la propria economia.
Secondo l’autore del rapporto, Rob Branford, si registra “ancora un’apatia da parte dei governi nell’utilizzare le risorse finanziarie e umane effettivamente necessarie per salvare la specie. Si parla molto, ma si fanno piccoli passi, troppo lenti e troppo corti”.
“La nostra relazione aggiunge un altro argomento per cui gli elefanti dovrebbero essere protetti” continua l’autore. “Per alcuni, i dati finanziari hanno un impatto maggiore. E i leader politici, alla fine, cercano sempre di far quadrare i propri libri contabili…”.
A chi accusa l’associazione di mercificare la vita degli animali, Bradford risponde che l’intento è quello di dare uno scossone ai governi e iniziare a convincere i decisori politici dei vari stati africani a prendere seriamente in considerazione azioni di tutela. In seconda battuta, l’obiettivo sarà quello di sensibilizzare i Paesi asiatici per ridurre la richiesta di avorio che parte da quelle aree del mondo.
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