Con gnl e greggio gli Stati Uniti ridisegnano il nostro fabbisogno energetico

Gli Stati Uniti stabiliscono nuovi equilibri energetici con la fornitura all’UE di greggio e gnl. In Italia parte la corsa ai rigassificatori ma resta la voglia di rinnovabili.

  • Il presidente Joe Biden ha annunciato che per i prossimi sei mesi gli Stati Uniti rilasceranno 18 milioni di barili di greggio.
  • La leadership energetica degli Usa sta crescendo, testimone anche l’accordo siglato con l’Europa per la fornitura di gnl, gas naturale liquefatto.
  • Mentre in Italia parte la corsa ai rigassificatori, resta il dubbio di mancare l’opportunità di indipendenza energetica offerta dalle fonti rinnovabili.

Dopo aver varato l’embargo di fonti fossili russi, il presidente statunitense Joe Biden ha annunciato in un discorso alla Casa Bianca che a partire dal prossimo maggio, e per sei mesi, sarà rilasciato 1 milione di barili al giorno di greggio –  il petrolio che non ha subito trattamenti – dalla riserva petrolifera strategica. È un segno, senza dubbio, che gli Stati Uniti stiano accrescendo la propria leadership mondiale energetica fossile. È di pochi giorni fa l’accordo siglato con l’Unione europea per la fornitura di 15 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto (gnl) nel 2022 e circa 50 miliardi di metri cubi all’anno per i prossimi anni.

Cos’è il gnl, al centro dell’accordo tra Europa e Stati Uniti

Il gnl altro non è che il gas naturale estratto dai giacimenti sotterranei e sottoposto a un processo di raffreddamento a -160 gradi che consente di ridurne il volume. Il risultato è una miscela costituita per il 90-99 per cento di metano e per la restante parte di butano, etano e propano, con una densità che è la metà di quella dell’acqua (dunque può galleggiare).

terminale gnl
Esempio di terminale di Gnl sull’Isola di Grain, in Inghilterra © Peter Macdiarmid/Getty Images

Il gnl viene trasportato su navi chiamate metaniere dotate di cisterne criogeniche che si occupano di mantenere il carico allo stato liquido sino al porto di destinazione. Qui è pompato nei serbatoi di stoccaggio e riportato in forma aeriforme per essere iniettato nella rete nazionale del gas. La trasformazione dallo stato liquido a quello aeriforme avviene in impianti chiamati rigassificatori, realizzabili a terra, in mare o su navi galleggianti. In alternativa, il gnl può essere usato subito come carburante per il trasporto marittimo o essere stoccato in impianti di piccola scala, gli small scale, per essere distribuito ai punti di rifornimento dei mezzi di trasporto pesante o delle piccole reti del gas slegate dalla rete nazionale.

L’Italia dei rigassificatori

Nel ridisegnare gli equilibri internazionali, la geopolitica dell’energia sembra spalancare le porte alle fonti fossili. È di questi giorni la notizia che il rigassificatore di Porto Viro, al largo di Rovigo gestito da Adriatic Lng, società partecipata da ExxonMobil (70,7 per cento), Qatar Petroleum (22) e Snam (7,3), ha ottenuto il via libera per aumentare (senza effettuare lavori all’impianto) la sua portata. Passerà da 8 a 9 miliardi di metri cubi l’anno e sarà in grado di coprire il 12 per cento dei consumi complessivi nazionali.

Il rigassificatore è il più grande dei tre operativi sul territorio nazionale, c’è un altro sito a terra a Panigaglia, in provincia di La Spezia, e il terzo in mare a Livorno, la Fsru Toscana gestita da Olt Offshore Lng. Per quest’ultimo, da poco l’assessora all’Ambiente della regione Toscana, Monia Monni, ha approvato la delibera contenente il parere favorevole all’aumento del numero di bettoline, così vengono chiamate le navi di taglia ridotta, che possono essere ricevute nel sito.

Il numero degli impianti potrebbe crescere in tempi brevi. Dopo una pausa durata sette anni, l’amministratore delegato del Gruppo Enel Francesco Starace ha annunciato nel corso di un evento la ripresa dell’investimento da un miliardo di euro per l’impianto di Porto Empedocle, nell’Agrigentino. E il presidente del Consiglio Mario Draghi ha firmato il Dpcm relativo alle infrastrutture energetiche strategiche per la Sardegna che prevedono un rigassificatore a Oristano e un ulteriore eventuale impianto a Cagliari.

La crisi del 1973 e la strategia di emergenza

Come detto, gli Stati Uniti rilasceranno 1 milione di barili al giorno di greggio per un totale di 180 milioni di barili, equivalenti a circa due giorni di domanda globale. La riserva strategica, la Strategic oil reserve, è un ingente bacino da cui attingere: si tratta della più abbondante fornitura di emergenza mondiale ed è gestita dal dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti.

I serbatoi sotterranei si trovano negli stati della Louisiana e del Texas e possono ospitare oltre 700 milioni di barili. Il ricorso alle riserve di petrolio è un meccanismo nato per fronteggiare la crisi petrolifera del 1973, scoppiata con la guerra del Kippur e l’embargo imposto ai paesi arabi dell’Opec, l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, che provocò una brusca carenza di petrolio e il conseguenze rialzo dei prezzi. Il meccanismo, quindi, prevede di aumentare l’offerta – attingendo a quella che è una scorta d’emergenza di circa 1,5 miliardi di barili – per ridurre i prezzi.

I pericoli ambientali del fracking

L’abbondanza di combustibile fossile è garantita anche dalla modalità con il quale lo si estrae: negli Stati Uniti, specialmente in Texas, si usa la tecnica del fracking, termine con cui si indica la frattura idraulica della roccia attraverso acqua mista a sabbia e agenti chimici iniettata ad alta pressione nel sottosuolo. Questa operazione ha un forte impatto ambientale  perché richiede un elevato consumo d’acqua, dunque non è praticabile ovunque, sfrutta una miscela di additivi di cui non si conosce l’esatta composizione (si parla anche di effetti radioattivi!) e fa ricorso a pozzi di smaltimento delle acque reflue che possono aumentare i livelli di pressione nella roccia per periodi di tempo prolungati rispetto alle operazioni legate al fracking.

Energia e patriottismo

“Non gli permetteremo di usare le risorse energetiche della Russia come un’arma”, ha affermato l’inquilino della Casa Bianca riferendosi all’omonimo russo Vladimir Putin. La decisione di Biden è stata presa d’intesa con i Paesi membri del consiglio direttivo dell’Aie, l’Agenzia internazionale dell’energia, con i quali già a si era stabilito di attingere alle riserve per un totale di 60 milioni di barili di petrolio. Riguarda il “più grande rilascio di riserve petrolifere nella storia”, come lui stesso ha affermato, e vuole scongiurare il rischio di shock globale, dovuto alle interruzioni su larga scala della produzione petrolifera russa. Proverà a contenere l’inflazione che sta flagellando i consumatori statunitensi, tentando di alleviare “le sofferenze degli americani”, da qui alla fine dell’anno.

È la terza volta negli ultimi sei mesi che Washington attinge alla riserva petrolifera strategica e la volontà, ha evidenziato il presidente, che nel suo discorso alla Casa Bianca ha fatto appello al patriottismo e chiesto alle industrie del Paese di “fare di più” per accelerare il ritmo delle trivellazioni così da abbattere i prezzi di benzina alla pompa, saliti durante la crisi Russia-Ucraina. Biden ha anche criticato le imprese che “preferiscono profitti straordinari a investimenti che accrescono la produzione” e puntato il dito contro le compagnie petrolifere colpevoli di arricchirsi con la guerra: “Questo non è il momento di sedersi su profitti record, è il momento di fare un passo avanti per il bene del vostro Paese”.

In linea con questa posizione, la richiesta di Biden al Congresso di far pagare delle multe alle compagnie petrolifere che non producono nelle terre federali sulle quali hanno la licenza. Oltre al richiamo a una legge di guerra che garantisce la produzione di minerali, come litio, nickel, cobalto e grafite, per la fabbricazione delle batterie dei veicoli elettrici.

Gnl? Potevano essere rinnovabili

E si continua a parlare di combustibili fossili. E di rigassificatori. Se ne parla da anni ma si è fatto poco e a rilento, sintomo della poca lungimiranza del Paese che si esprime anche nella scarsa diversificazione degli approvvigionamenti. Il rischio è di slegarsi dalla Russia per creare un legame, forse ancora più forte, con un altro fornitore, alla luce anche del divieto all’importazione di carbone russo, pilastro del quinto pacchetto di sanzioni occidentali annunciato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

Mentre lasciamo scivolare tra le dita l’opportunità di accrescere la produzione da fonti rinnovabili, continuiamo ad aggrapparci alle fossili e chiamiamo il gas con un altro acronimo pensando a costruire nuovi siti e a trasportarne sempre di più, tralasciando l’impatto ambientale di tutte queste attività.

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