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Anche il latte artificiale inquina (e non poco) il Pianeta
Uno studio ha quantificato l’impatto ambientale della produzione e del consumo di latte artificiale. Evidenziando come il sostegno all’allattamento al seno sia fondamentale anche per la salvaguardia del Pianeta.
Dall’1 al 7 ottobre scorso si è svolta la Settimana mondiale dell’allattamento al seno (Sam) per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza dell’allattamento materno e per generare sostegno alle neo mamme di tutto il mondo. Per l’occasione, la rivista medica British Medical Journal ha pubblicato uno studio realizzato da un gruppo di esperti dell’Imperial College London che ha dimostrato quello che negli anni già diversi studi internazionali avevano evidenziato: l’allattamento al seno non solo migliora la vita di mamma e bambino, ma anche del Pianeta, essendo “l’alimento più amico dell’ambiente”.
Perché il latte artificiale fa male all’ambiente: i dati
“La produzione di inutili formule per neonati e bambini aggrava il danno ambientale e dovrebbe essere una questione di crescente preoccupazione globale”, sostengono gli esperti dell’Imperial College di Londra. Ma perché?
Uno studio del 1997 aveva già sottolineato come il latte artificiale in polvere sia il prodotto finale di una serie di passaggi industriali e come l’energia necessaria per portarlo ai giusti gradi di temperatura causino inquinamento e sprechino risorse naturali sotto forma di combustibili. La ricerca pubblicata la scorsa settimana ha misurato l’impatto sull’ambiente del latte artificiale per neonati, tenendo in considerazione l’intera catena produttiva: le emissioni di anidride carbonica (CO2) variano da 95 a 153 chilogrammi per ogni neonato allattato artificialmente.
Il latte artificiale in polvere lascia un’importante impronta ecologica sul nostro Pianeta, a cominciare dalla produzione del latte vaccino. Il metano proveniente dagli allevamenti è un gas serra significativo, senza contare il consumo di acqua – fino a 4.700 litri per chilogrammo di polvere – e l’impronta energetica data dal processo di essiccazione. E di queste emissioni di gas serra, la metà riguardano il cosiddetto “latte di proseguimento” (o di crescita), considerato superfluo dall’Organizzazione mondiale della sanità. A questi dati vanno poi sommati quelli relativi a minerali, vitamine e oli aggiunti, con cui il latte vaccino viene integrato, essendo a livello nutrizionale inadeguato per un neonato. Ma a provocare emissioni non c’è solo la trasformazione industriale del latte da liquido a polvere, ma anche il confezionamento e il trasporto del latte in formula.
L’impatto ambientale del consumo di latte artificiale
E non finisce qui: la ricerca ha evidenziato come il calcolo dell’impronta di carbonio del latte artificiale debba essere effettuato a livello industriale, ma anche a livello domestico.
Per essere consumata, infatti, la formula deve essere riportata allo stato liquido e sterilizzata mediante il riscaldamento dell’acqua che deve arrivare fino a settanta gradi centigradi che, in termini energetici e sempre considerando il solo Regno Unito, equivale all’energia usata per caricare duecento milioni di smartphone ogni anno. E se è essenziale prendere in esame le risorse necessarie per produrre il latte formulato in polvere, è anche importante quantificare i rifiuti derivanti dal consumo del latte artificiale. Uno studio del 2009 ha mostrato che 550 milioni di confezioni di latte artificiale, pari a 86 mila tonnellate di metallo e 364 mila tonnellate di carta, finiscono nelle discariche ogni anno.
La soluzione: incentivare l’allattamento al seno
La produzione e il trasporto della formula, la fabbricazione dei biberon, la ricostituzione domestica da polvere a liquido, richiedono un’enorme quantità di energia. Solo in Gran Bretagna, il risparmio in termini di emissioni di anidride carbonica che si otterrebbe incentivando l’allattamento al seno, equivale a togliere dalla strada dalle 50 mila alle 77 mila automobili ogni anno. L’allattamento è incomparabile nel fornire il cibo ideale per il neonato – come sottolinea l’Organizzazione mondiale della sanità che lo raccomanda per i primi sei mesi di vita e fino a due anni e oltre – ma è anche a rifiuti zero. Non usa nessuna risorsa naturale e nessuna materia prima del nostro Pianeta; non produce scarti in nessun momento.
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Come sottolinea uno studio dell’International Baby Food Action Network (Ibfan) pubblicato nel 2015 in occasione della Giornata mondiale della Terra: “Una mamma che allatta contribuisce sia alla salute del suo bambino che a quella del Pianeta”. Eppure a livello globale soltanto il 41 per cento dei 141 milioni di bebè nati ogni anno viene allattato al seno in modo esclusivo per i primi sei mesi di vita. Per gli esperti che hanno pubblicato lo studio è, dunque, necessario un approccio che incentivi l’allattamento materno su più fronti, incluso un migliore supporto alle neo mamme, un migliore accesso al latte materno donato e conservato nelle banche del latte, un aumento del numero di consulenti specializzati in allattamento.
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“La nostra casa è in fiamme e la prossima generazione ci impone di agire rapidamente per ridurre le impronte di carbonio in ogni ambito della vita. L’allattamento al seno fa parte di questo puzzle e sono necessari investimenti urgenti in tutto il settore”, ha specificato la ricercatrice Natalie Shenker che ha firmato la ricerca e che è impegnata in prima persona sul campo nella Hearts Milk Bank, la prima banca del latte indipendente nel Regno Unito che vorrebbe diventare la prima banca del latte a emissioni zero al mondo.
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