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Bisogna valorizzare le funzioni delle foreste urbane per migliorare le condizioni di vita di una popolazione mondiale sempre più urbanizzata. Marco Marchetti del Sisef è stato tra i protagonisti del primo World forum on urban forests di Mantova.
Per quattro giorni a Mantova si sono riuniti esperti di tutto il mondo per confrontarsi sul tema delle foreste urbane al World forum on urban forests, una delle soluzioni più brillanti ed efficienti affinché le città rimangano luoghi vivibili e riescano a superare le sfide sempre più grandi cui sono sottoposte.
Marco Marchetti, presidente della Società italiana di selvicoltura ed ecologia forestale (Sisef), ente che raccoglie la comunità scientifica per la ricerca forestale e tra gli organizzatori del forum, ha spiegato che “l’unico modo per vincere le sfide che le città pongono è quello di rendere consapevoli i cittadini e gli amministratori del valore delle foreste”. È importante concentrarsi sui cittadini perché la popolazione mondiale è sempre più urbanizzata e in Italia l’80 per cento della popolazione vive in città, spesso senza conoscere le funzioni innumerevoli e trasversali del verde urbano: non solo per quel che riguarda l’ambito ecologico ma anche quello economico e sociale. In città si possono realizzare parchi e giardini, viali alberati, orti urbani, boschi periurbani e anche tetti e facciate verdi, i cosiddetti boschi verticali.
Gli investimenti nel verde urbano sono particolarmente efficaci ed efficienti anche in termine economico perché garantiscono una riduzione di diverse tipologie di spesa, da quelle per il raffreddamento degli edifici a quelle per la manutenzione del territorio e la resilienza idrogeologica. Contrastando l’inquinamento dell’aria, le piante permettono di ridurre le spese per la salute, mentre i parchi pubblici o gli orti comunitari offrono occasioni di incontro e socialità. Si parla di soluzioni naturali (nature-based solutions, nbs) a problemi come il consumo energetico o quello idrico o il riscaldamento delle città.
Molte di queste riflessioni sono contenute nella Strategia nazionale del verde urbano, documento creato a maggio 2018 dal Comitato per il verde pubblico del ministero dell’Ambiente, con l’obiettivo di offrire alle amministrazioni linee guida per la creazione di città più sostenibili e resilienti. In questo senso, spiega Marchetti, che fa parte anche di questo comitato, “tutti i benefici delle foreste urbane sono fondamentali per le città italiane”.
Dopo aver suddiviso i centri urbani in sei tipologie omogenee, secondo criteri quali la dimensione, struttura o la quantità di verde esistente, la strategia indica le priorità da perseguire per ognuno di questi gruppi di città. Il Consiglio nazionale per le Ricerche (Cnr), sotto la guida del professor Carlo Calfapietra della Sisef, ha anche messo a punto un software, dal nome Specifind, che consente di scegliere la migliore specie di pianta da utilizzare in una determinata città, in base a una scala di priorità delle funzioni del verde indicata dall’utente. Il lavoro è stato possibile grazie alla creazione di un database che racchiude i dati relativi a molte specie di piante e alle loro caratteristiche, considerando anche che, quando si parla di città, bisogna anche valutare questioni molto pratiche, dall’allergenicità delle specie, alla produzione di frutti pesanti o di colate di resina.
Marchetti sottolinea come siano molte le città che negli ultimi anni stiano lavorando bene in questo ambito, città come Milano, Torino o la stessa Mantova. Nel corso del forum un gruppo di ricercatori dell’università Iuav di Venezia ha presentato il progetto Mantova Resiliente, linee guida per l’adattamento al cambiamento climatico, già sui tavoli degli amministratori locali.
La squadra del professor Francesco Musco ha svolto un’analisi dei luoghi della città più esposti ad eventi meteo estremi, dai venti agli allagamenti alle alte temperature, e ha individuato gli interventi da realizzare, che contemplano anche il verde urbano. Un esempio su tutti: incrociati i dati che identificano le aree ad elevata irradiazione (isole di calore) della città con quelli legati alla tipologia di uso di queste aree e alla vulnerabilità della popolazione residente (anziani o bambini), sono state individuate le aree su cui intervenire con priorità nella realizzazione di opere di adattamento al cambiamento climatico.
“Il nostro ruolo, come comunità scientifica, è anche quello di convincere gli amministratori a supportare la comunicazione perché attraverso quella passa l’educazione ambientale”, spiega Marchetti, che si dice non ancora pienamente soddisfatto dell’attenzione che i temi forestali ricevono dai media. “Dobbiamo fare in modo che la società civile si riconnetta con il funzionamento dei processi ecologici”, spiega Marchetti.
Bisogna ad esempio far capire l’importanza di una corretta gestione del verde pubblico, spiegare che non basta piantare alberi ma serve anche mantenerli, potarli e a volte tagliarli, per assicurarsi che continuino a svolgere, in sicurezza, le funzioni per cui sono stati piantati. Se consideriamo che il grande sviluppo edilizio si è avuto negli anni Sessanta e Settanta, molti degli alberi si stanno avvicinando verso la fine del loro ciclo di vita. “Abbiamo bisogno di un’educazione ambientale che tenga conto del fatto che il nostro Paese non ha più nulla di primordiale e la natura non è incontaminata”, aggiunge Marchetti.
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Non tutti sanno che l’Italia è un Paese forestale, in cui le foreste sono aumentate del 50 per cento dal dopoguerra e coprono oggi il 40 per cento del territorio (più di Francia e Germania, in termini relativi). Ma il panorama è cambiato in modo radicale: non si tratta più di un mosaico come in passato, in cui si alternavano boschi, campi e borghi; al contrario oggi il paese è fortemente polarizzato, con ampie zone forestali e ampie zone urbanizzate, con superfici agricole in riduzione. Questa polarizzazione del territorio ha determinato la perdita di molta biodiversità.
Un’installazione dal titolo Fallen forest e realizzata alla Fondazione dell’Università di Mantova (Fum) dallo studio Openfabric è stata dedicata, in corso d’opera, all’abbattimento di ampie parti di foresta sull’altopiano di Asiago avvenuta a fine ottobre, inizio novembre a seguito di un evento meteorologico estremo.
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“Fino ad ora l’Italia era stata esente da danni così ingenti, che avevano invece iniziato a colpire centro e nord Europa già dalla fine degli anni Novanta”, spiega Marchetti. Quella abbattuta era una delle foreste meglio gestite dal punto di vista della selvicoltura, ma davanti alla forza eccezionale del vento, con picchi che hanno superato i 200 chilometri orari, nessun albero può resistere. Anche se in alcune zone, dove il vento era un po’ più debole, un larice avrebbe forse resistito meglio di un abete, aggiunge. Ma Marchetti è positivo e guarda al futuro: “I boschi torneranno tutti, ma dovremo considerare questi rischi e progettare una foresta che sia più resiliente rispetto al cambiamento climatico”.
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E se pensiamo di rinverdire le città dobbiamo anche pensare a proteggerle da un altro rischio: quello del fuoco, a cominciare dalle tecniche di autoprotezione dei cittadini che devono sapere quali sono le misure preventive e in emergenza contro gli incendi. Marchetti mette in guardia sulla nuova tipologia di incendi che a causa del cambiamento climatico sono diventate vere e proprie tempeste di fuoco che si allargano rapidissime. I rischi principali derivano ad esempio dall’accumulo dei residui di legno morto e dalla continuità del combustibile, cioè della vegetazione, tanto orizzontale quanto verticale, che fa sì che il fuoco trovi continuamente qualcosa da bruciare e si rinforzi. In Italia non ci sono stati grandi fuochi con interfaccia città-foresta che abbiano provocato un numero elevato di vittime, come si è visto invece in Grecia, Portogallo o California. Occorre comunque una buona pianificazione, come in tutte le cose, sia a livello di verde privato sia di foreste ma purtroppo, commenta Marchetti, con lo smantellamento del Corpo Forestale, stiamo perdendo le sue importante competenze.
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