Con Raimondo Orsini, direttore della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, abbiamo esplorato i temi chiave degli Stati generali della green economy 2024 il 5 e 6 novembre.
Microplastiche, un nuovo studio Usa le rileva anche nel corpo umano
Un team dell’Arizona State University ha messo a punto una tecnica per rilevare i livelli di microplastiche negli organi degli esseri umani.
Non inquinano solo il mare e i campi. Le microplastiche e le nanoplastiche sono davvero ovunque. Nell’aria che respiriamo e nel cibo che mangiamo. E quindi, anche nel nostro corpo. E per evitare danni alla salute, devono essere monitorate. È quanto emerge da uno studio svolto da un team dell’Arizona State University, presentato lunedì 17 agosto in una riunione dell’American Chemical Society.
Il gruppo di ricercatori ha esaminato 47 campioni di tessuti organici (polmoni, milza, reni, fegato) provenienti da una banca dei tessuti istituita per studiare le malattie neurodegenerative. Il risultato: tracce di micro e nanoplastiche sono state trovate in tutti i campioni esaminati.
Condividere le ricerche per monitorare la salute degli individui
“Sarebbe ingenuo credere che ci sia plastica ovunque ma non in noi”, ha affermato Rolf Halden, uno dei ricercatori dell’Arizona State University. Secondo diversi studi, sarebbero almeno almeno 50.000 le particelle di microplastica che ingeriamo o respiriamo ogni anno inconsapevolmente. “Ora” continua Halden, “stiamo lavorando a una piattaforma di ricerca che permetterà a noi e ad altri di cercare ciò che è invisibile: queste particelle troppo piccole per essere viste ad occhio nudo”.
L’intenzione del team statunitense è infatti quella di condividere con altri scienziati i dati e la tecnica di analisi, che permette di riconoscere dozzine di tipi di plastica, per monitorare i livelli di microplastiche nell’organismo umano e prevenire potenziali danni gravi per la salute.
Possibili danni da microplastiche per la salute
Oltre al Pet, polietilene tereftalato utilizzato nelle bottiglie di plastica per bevande e al polietilene utilizzato nei sacchetti di plastica, i ricercatori hanno trovato in tutti i campioni tracce di Bpa, ovvero bisfenolo A. Sia secondo la Epa – Environmental protection agency americana, sia per la Efsa – Autorità europea per la sicurezza alimentare, questa sostanza ad alte dosi provoca disturbi a fegato e reni, e non è possibile escludere del tutto danni al sistema riproduttivo, nervoso, immunitario, metabolico e cardiovascolare o la possibilità di indurre il cancro.
Secondo gli studi condotti finora, l’esposizione attuale alle plastiche sarebbe troppo bassa per provocare davvero seri danni. Per questo, una tecnica che consenta di monitorare l’accumulo di micro e nanoplastiche nei tessuti risulta fondamentale per stabilire la tossicità di questi materiali per l’organismo umano.
Grazie alle informazioni fornite dai donatori di tessuti sui loro stili di vita, sulle abitudini alimentari, sulle loro occupazioni, il gruppo di ricercatori sta lavorando anche per determinare le modalità di esposizione alle microplastiche. Obiettivo: realizzare un database globale sull’esposizione alla plastica, che permetta di confrontare le esposizioni in organi e gruppi di persone nel tempo e nello spazio geografico. E stabilire, una volta per tutte, quale sia il rischio per il nostro organismo.
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