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La natura è una vittima silenziosa della guerra. A più di due mesi dall’inizio del conflitto in Ucraina l’ambiente conta le sue ferite.
A più di due mesi dall’inizio del conflitto in Ucraina molte cose sono chiare, altre meno. Tra queste c’è una vittima che non viene ascoltata, di cui si parla pochissimo: la natura. Proprio così, perché la violenza della guerra colpisce tutti e tutto senza distinzione. L’Ucraina, devastata dal conflitto a fuoco, ha visto crollare palazzi, abitazioni, ospedali, asili, intere città ma ha dovuto assistere anche alla scomparsa di ciò che la circondava, un ambiente disarmato che purtroppo conta le sue perdite.
Cerchiamo di comprendere meglio i danni che questa guerra sta provocando all’ambiente. L’Ucraina è una zona importantissima a livello ecologico, il suo patrimonio ambientale vede zone umide, foreste e ampie fasce di steppe vergini, ovvero non ancora intaccate dall’uomo. Ora, più di un terzo delle aree protette dell’Ucraina sono state invase dalle operazioni militari.
Una zona duramente colpita è stata la Riserva della Biosfera sul Mar Nero, sulla costa meridionale dell’Ucraina. Questa riserva è un paradiso per gli uccelli, più di 120 mila volano e nidificano tra le acque protette delle zone umide di questo ambiente. Sono state osservate moltissime specie, molte delle quali a rischio di estinzione. Tuttavia, in un ambiente non sono presenti solamente gli uccelli: decine di specie di pesci, molluschi, piante, fiori, roditori tra cui lo spalace ucraino (un roditore endemico dell’Ucraina e a forte rischio di estinzione), delfini –di cui parleremo più avanti–, la lista è lunga. A tutto ciò, va aggiunto anche un esercito invasore. Qui i numerosi incendi, talmente grandi da essere visibili anche dallo spazio, hanno, probabilmente, distrutto gli habitat di riproduzione di molte specie. Al momento non ci sono ancora dati precisi sulle perdite.
Un’altra area molto importante, e anch’essa scenario di guerra, è la riserva Askania-Nova. Questa riserva naturale è stata dichiarata riserva della Biosfera dall’Unesco, tra i suoi confini si trova una delle ultime regioni europee con una vegetazione steppica incontaminata. Per citare qualche specie presente troviamo i cavalli di Przewalski (il più numeroso gruppo in cattività), i bisonti, l’antilope delle steppe, oltre alla presenza di uno zoo. Tutti questi animali, anche qui molte specie a rischio di estinzione, necessitano di attenzioni particolari come, per esempio, un’alimentazione supplementare per affrontare l’inverno e l’inizio della primavera. Per il governo non è stato facile utilizzare dei fondi per la salvaguardia di queste specie, così alcune organizzazioni hanno raccolto del denaro da destinare alla riserva e al pagamento dei locali coltivatori di grano, in modo tale da riuscire a nutrire gli animali, abbandonati a se stessi.
I delfini sono ormai parte integrante dell’esercito russo –sono un esempio i delfini utilizzati a largo della Crimea per difendere le navi militari russe– già dai tempi della guerra fredda. In quell’epoca, infatti, numerose operazioni di addestramento erano finalizzate a creare delle vere e proprie macchine da guerra animali. I delfini sono armi eccellenti sottacqua, veloci, agili e all’occasione uccidono. Hanno anche una caratteristica che li rende ancora più essenziali, l’eco localizzazione, grazie alla quale riescono a rilevare le mine subacquee. Tuttavia, i programmi di addestramento militare per gli animali non sono soltanto una questione russa. Altri Paesi come gli Usa, la Corea del Nord e Israele hanno questi programmi nei quali sono stati coinvolti anche beluga, foche e leoni marini. Non dimentichiamo che, anche in altre parti del mondo, sono state addestrate diverse specie di animali sia marini che terrestri, ma questa è un’altra storia.
Tornando ai delfini e alla guerra, il problema non risiede solo nell’etica dell’addestramento: i delfini del Mar Nero stanno morendo. Dopo l’inizio del conflitto, sulle coste turche sono stati registrati ben ottanta delfini comuni (Delphinus delphis) spiaggiati. La causa di queste morti è ancora incerta. Probabilmente, circa la metà potrebbe essere dovuta alla cattura nelle reti da pesca. Tuttavia, nel Mar Nero sono presenti numerose imbarcazioni da guerra. L’inquinamento acustico subacqueo, prodotto dalle navi, potrebbe essere la causa principale, poiché tutto il rumore presente sott’acqua, pur non uccidendo direttamente l’animale, lo disturba e ne compromette l’attività, portandolo a fuggire verso territori meno conosciuti. Il trauma acustico diretto potrebbe spiegare gli spiaggiamenti, ma il costante rumore potrebbe, invece, spiegare il crescente tasso di catture nelle reti da pesca dovuto alla migrazione-fuga di massa di pesci e cetacei verso le coste turche.
L’Ucraina possiede impianti chimici, depositi di petrolio, miniere di carbone, gasdotti, impianti di stoccaggio e ben 15 centrali nucleari. Tutte queste possono essere considerate come delle bombe ad orologeria pronte ad esplodere. Il danneggiamento di questi siti provocherebbe dei danni, non solo all’ambiente, devastanti. Sono passati più di trent’anni dal disastro nucleare di Chernobyl e siamo ben a conoscenza dell’effetto delle radiazioni (bisogna considerare che gli effetti si sono verificati su intere popolazioni e non solamente sui singoli individui). Il fatto paradossale è che, nel corso degli anni, nella zona di esclusione di Chernobyl sono ritornate moltissime specie, favorite dalla completa assenza dell’uomo. Ora la guerra le sta allontanando, di nuovo.
La guerra è distruzione e l’ambiente è la sua vittima innocente. Da uno studio del 2009 è emerso che dal 1950 al 2000 l’ottanta per cento dei conflitti a fuoco è avvenuto in hotspot della biodiversità, i punti caldi di biodiversità, nei quali sono presenti specie endemiche, specie a rischio e alti livelli di biodiversità. Non sono ancora molti gli studi relativi all’impatto della guerra sull’ambiente. Tuttavia, sappiamo che: in Africa durante i diversi conflitti si è assistito ad un declino della fauna selvatica all’interno delle aree protette; in Vietnam, l’uso del napalm come strategia offensiva, ha raso al suolo completamente la giungla; in Belgio, trincee, carri armati, bombe, incendi, esplosioni disperdono i metalli pesanti sia in acqua che nel suolo e, nel 2011, in un importante campo di battaglia della Prima Guerra Mondiale, i livelli di piombo e rame erano ancora elevati; in Angola durante la guerra del 1975, furono sospese le attività di antibracconaggio, il risultato fu una drastica diminuzione di bufali e antilopi; nel Parco Nazionale di Gorongosa, durante la guerra civile in Mozambico, dal 1977 al 1992 le popolazioni di grandi erbivori come elefanti, zebre e bufali è diminuita di oltre il novanta per cento; dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, i livelli di povertà erano altissimi, così da spingere le popolazioni a cacciare e per questo diminuirono drasticamente cinghiali, alci e orsi. Questi sono solo alcuni esempi.
La natura, ancora una volta, è la vittima silenziosa. Difficile dire cosa sarà, sicuramente l’impatto ambientale sarà devastante, magari la risposta sta soffiando nel vento, come cantava Bob Dylan.
“The answer, my friend, is blowin’ in the wind”
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