Sulle Dolomiti sono apparsi degli adesivi che invitano a riflettere sugli impatti dell’overtourism. Dopo Spagna e Grecia, il dibattito arriva anche in Italia.
Basta all’olio di palma nei motori. Salviamo le foreste e gli oranghi
25 oranghi muoiono ogni giorno e milioni di ettari di foresta sono già spariti a causa della deforestazione per l’olio di palma, un prodotto usato nei biocarburanti in tutta Europa. Con la campagna #NotInMyTank Legambiente si schiera con le foreste e gli animali.
Dagli alimenti ai biocarburanti, l’olio di palma non conosce ormai frontiere. Se negli ultimi anni l’uso di questo olio vegetale negli alimenti sta diminuendo anche grazie alla pressione dei consumatori sempre più informati e uniti per farlo togliere dagli ingredienti, quello usato per il biodiesel è invece quadruplicato e sono ancora tanti i cittadini a non sapere che l’olio di palma è utilizzato anche nei motori.
Ogni giorno muoiono 25 oranghi a causa dell’olio di palma
Secondo il sondaggio Ipsos, l’82 per cento degli europei è all’oscuro di questa pratica, in Italia la percentuale sale all’87 per cento. Ma una volta informati il 75 per cento dei cittadini si dice contrario a questa pratica che mette in pericolo le foreste e la biodiversità. In questi anni, infatti, per soddisfare la sete europea di olio di palma milioni di ettari di foresta pluviale sono stati distrutti per permettere l’espansione delle piantagioni di palme da olio.
Leggi anche: Il dramma degli oranghi del Borneo, persi oltre 100mila esemplari in 16 anni
Ad oggi oltre alle foreste, ad essere in pericolo sono anche specie di animali uniche come ad esempio gli oranghi che vivono nelle foreste del Borneo, tra Malesia e Indonesia. Ogni giorno, a causa della deforestazione da olio di palma, ne muoiono ben 25. Questi primati non hanno più di che nutrirsi e, quando si avvicinano ai frutti delle palme, vengono uccisi.
Per questo Legambiente insieme ad una coalizione di associazioni ambientaliste – di Belgio (Fédération Inter-Environnement Wallonie), Bruxelles (Trasporti e ambiente), Francia (Amis de la Terre e Canopeé), Germania (Deutsche Umwelthilfe e Nabu), Italia (Legambiente), Portogallo (Zero), Spagna (Ecologistas en Acción), Svezia (Società svedese per la conservazione della natura), e Paesi Bassi (Milieudefensie / Friends of the Earth Paesi Bassi) – ha lanciato la campagna europea NotInMyTank, Basta all’olio di palma nei motori che ha per simbolo proprio l’orango.
Leggi anche: La Norvegia mette al bando i biocarburanti con olio di palma dal 2020 per difendere gli oranghi
L’obiettivo è quello di accendere i riflettori sull’olio di palma usato anche nei biocarburanti, per informare e sensibilizzare i cittadini e invitarli a firmare la petizione per chiedere alla Commissione europea, che si dovrà pronunciare il 1 febbraio, di dire basta all’olio di palma nei motori e ai sussidi previsti per questa pratica. Un messaggio che le associazioni hanno rilanciato il 21 gennaio, giorno della grande mobilitazione europea, con sit in organizzati da Roma con l’iniziativa #SavePongo a Bruxelles, da Praga a Parigi, passando per Lisbona, Madrid e Berlino.
Di certo i biodiesel a base di olio di palma di sostenibile e verde hanno ben poco, dato che contribuiscono, indirettamente, alla deforestazione e alla messa in pericolo della fauna selvatica. Il network ambientalista europeo Transport&Environment ha reso pubbliche le ricerche sul ciclo di vita dell’olio di palma: dalla scomparsa della foresta al trasporto e i trattamenti, ogni litro di olio di palma usato come carburante provoca emissioni di CO2 triple del petrolio.
“Chiediamo all’Ue di fermare tutti i sussidi per le finte rinnovabili, e di anticipare dal 2030 al 2025 il divieto dell’uso dell’olio di palma per la produzione del #biodiesel.” ?⛽️#SavePongo! Firma la petizione #NotInMyTank -> https://t.co/X3lHxhJiaz@StefanoCiafani @transenv pic.twitter.com/TnSOYOTvGH
— Legambiente Onlus (@Legambiente) 21 January 2019
Ma ci sono biocarburanti virtuosi che possono sostituire quelli di origine fossile? Sì. Tutti quelli originati da scarti, persino da rifiuti che possono essere dannosi se abbandonati nell’ambiente. Qualche esempio? Gli oli di cottura usati, inquinanti se finiscono nelle acque: ora il consorzio Conoe ne recupera 72mila tonnellate (2017) in tutta Italia, ma potenzialmente se ne potrebbero recuperare 260 mila. Oppure il biometano recuperabile dagli scarti organici dei rifiuti (urbani e agroindustriali): la stima del recuperabile è pari a 8-10 miliardi di metri cubi di metano rinnovabile, il triplo di quanto servirebbe per tutti i veicoli a metano oggi circolanti in Italia. Oppure ancora l’etanolo (benzine): dagli scarti della vinificazione le distillerie italiane ne producono già oggi 100 mila tonnellate. Ma di certo in futuro ci muoveremo con meno automobili e con più veicoli elettrici.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Anche nel 2023 il centro e il sud America sono state le zone del mondo più pericolose per i difensori dell’ambiente, conferma la ong Global witness.
I tre Paesi del Pacifico, assediati dall’innalzamento degli oceani, hanno presentato proposta formale alla Corte penale internazionale.
Si parla per ora di 63 vittime, di cui 44 uccise da frane e inondazioni improvvise. Migliaia di persone sfollate e danni alle fabbriche
Il 22 aprile 2021 è entrato in vigore l’accordo di Escazú, per la tutela delle persone che si battono per l’ambiente in America Latina.
Dopo il sì della Corte costituzionale, anche in Colombia può entrare in vigore l’accordo di Escazú per la tutela degli attivisti ambientali.
Il rapporto di Legambiente conferma lo stato critico del mare italiano, tra abusi edilizi, sversamenti, pesca illegale e cattiva gestione dei rifiuti.
Dom Phillips e Bruno Pereira, giornalista e avvocato che indagavano i traffici nell’Amazzonia brasiliana, sono stati uccisi il 5 giugno 2022. Dopo due anni, le indagini subiscono un duro colpo.
L’alluvione a San Felice a Cancello, in Campania, conferma la fragilità del nostro territorio. Ma le misure di prevenzione stentano ad arrivare.