L’Europa non fa abbastanza per lottare contro i cambiamenti climatici, 10 famiglie le fanno causa

Tra le dieci famiglie, c’è anche una italiana, di Cogne, la cui attività agricola è seriamente compromessa dai cambiamenti climatici.

Sono dieci le famiglie che si sono rivolte alla Corte di Giustizia europea per denunciare l’inadeguatezza del target di riduzione delle emissioni climalteranti al 2030. Le famiglie provengono da Germania, Portogallo, Romania, Francia, Italia, Svezia e da altri paesi non europei e  ritengono che la riduzione delle emissioni nazionali di gas serra di un minimo del 40 per cento rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030 sia inadeguato. Tale target non è sufficiente a far fronte alla concreta necessità di prevenire il rischio climatico ed è insufficiente a proteggere i loro diritti fondamentali di vita, salute, occupazione e proprietà. Esse sostengono che, a fronte di quanto sancito dal diritto europeo e internazionale, l’obiettivo di riduzione sia troppo basso e ritengono che l’Unione abbia il dovere legale di non causare danni e di proteggere i diritti fondamentali dei suoi cittadini.

Infografica ricorso alla Corte di Giustizia Ue
L’infografica di People’s Climate Case che sintetizza le motivazioni del ricorso alla Corte di Giustizia europea. © People’s Climate Case

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Anche una famiglia di Cogne tra i ricorrenti

Tra le famiglie anche una italiana, di Giorgio Elter che vive a Cogne, produce alimenti biologici locali e gestisce un piccolo bed & breakfast, completamente dipendente dal turismo e in particolare dalle opportunità di arrampicata su ghiaccio della regione.

La famiglia non è solo testimone dello scioglimento dei ghiacci, ma anche di cambiamenti significativi della temperatura. “Non possiamo […] rimanere silenziosi agli impatti dei cambiamenti climatici che mettono in pericolo il futuro dei nostri bambini. Lo scioglimento dei ghiacciai, che sono la nostra importante riserva di acqua dolce e il nostro unico reddito durante la stagione invernale, non riguarda solo noi; insieme all’aumento della temperatura, causa anche significativi danni alle attività agricole a valle. Per noi, questa azione legale è molto importante per sensibilizzare i nostri responsabili decisionali e le istituzioni sovranazionali sulla necessità di adottare azioni e misure più radicali per fermare questi impatti prima che diventino irreversibili e sia troppo tardi per tutti noi”, ha detto Elter.

Giorgio Elter, ingegnere forestale, sta osservando l’aumento della temperatura e spiega che le erbe e le piante regionali esclusive di altitudini superiori ai 1500 metri non fioriscono più o fioriscono troppo presto a causa dell’aumento delle temperature. Poiché le sementi e le colture locali utilizzate dalla famiglia sono molto sensibili all’innalzamento della temperatura, la famiglia ha registrato un calo della produzione, oltre a maggiori costi di produzione, quantificabili come una perdita compresa tra il 20 e il 30 per cento delle entrate. Anche la loro attività alberghiera, che dipende dall’arrampicata su ghiaccio, è a rischio perché qualsiasi alterazione della temperatura rende pericolosa l’arrampicata su ghiaccio.

L’azione legale della famiglia Elter è sostenuta da Legambiente, che è membro di Climate Action Network Europe e seguita dall’avvocato Barbara Pozzo, professore ordinario Dipartimento di Diritto, Economia e Culture dell’Università degli Studi dell’Insubria.

Chi sono le famiglie che hanno fatto causa e cosa chiedono

Le famiglie ricorrenti, le cui condizioni di vita sono tra quelle che gli effetti dei cambiamenti climatici mettono più a rischio, sono genitori e figli che vivono in piccole isole al largo della costa tedesca del mare del Nord le cui condizioni di salute, proprietà e occupazione (come l’agricoltura e i servizi turistici) sono e saranno messe in pericolo dall’innalzamento del livello del mare e dalle mareggiate che raggiungono aree più interne. Ma ci sono anche figli e genitori che vivono nel sud della Francia e nel sud del Portogallo le cui condizioni di salute, proprietà e occupazione (come l’agricoltura) sono messe in pericolo da ondate di calore e siccità; o famiglie che vivono nei Carpazi rumeni, i cui mezzi di sostentamento e la cui occupazione tradizionale (agricoltura e pastorizia) sono messi a repentaglio dalle temperature più elevate e dalla penuria di acqua. Anche le famiglie che vivono nel Kenya settentrionale si sono unite e la cui salute e istruzione sono danneggiate da ondate di calore, siccità e desertificazione.

Le famiglie sono accompagnate nell’azione da numerose ong, da avvocati e scienziati, che credono che l’Ue possa e debba essere più ambiziosa rispetto al suo obiettivo sul clima al 2030. Secondo i ricorrenti l’Unione europea, consentendo ulteriori emissioni e non esercitando il proprio potere decisionale al meglio delle possibilità, sta ledendo i diritti fondamentali. Le famiglie chiedono quindi alla Corte di sancire che la questione del cambiamento climatico ricade nella sfera dei diritti umani e che la Ue ha la responsabilità di proteggere i loro diritti, quelli dei loro figli e delle future generazioni.

apicoltore al lavoro
Ildebrando, tra i ricorrenti contro la Ue, al lavoro con le sue api. © Zero.

Una petizione per sostenere la causa

Per sostenere la decisione delle 10 famiglie di citare in giudizio i legislatori europei e la loro richiesta all’Ue affinché tuteli i diritti fondamentali è stata lanciata una petizione da Wemove.eu in collaborazione con CAN Europe, People’s Climate Case e Legambiente.

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