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Stati Uniti, le trivelle in mare volute da Trump minacciano 68 parchi nazionali
Donald Trump intende sacrificare al petrolio anche i simboli dell’identità americana: i parchi nazionali, preziosi per la biodiversità e per il turismo.
Se si pensa che il mare sia né più né meno che un immenso giacimento di gas e petrolio, a esserne felici sono senza dubbio le compagnie petrolifere, che possono così trivellare a proprio piacimento. Ma questo significa anche tapparsi gli occhi di fronte alle conseguenze a lungo termine. Negli Stati Uniti, sono addirittura 68 i parchi nazionali che rischiano di pagare il prezzo (salatissimo) del revival del petrolio voluto dal presidente Donald Trump. Stiamo parlando di territori selvaggi, patrimoni di biodiversità e simboli dell’identità americana; e già questo sarebbe sufficiente per convincersi a rispettarli. Se proprio servono altre ragioni, si può ricordare che ogni parco è un volano per il turismo. Nel 2017 questi 68 parchi nazionali, messi insieme, hanno ospitato oltre 84 milioni di visitatori, che hanno iniettato 4,5 miliardi di dollari nelle economie locali, supportando quasi 60mila posti di lavoro.
Il piano di Trump per le trivellazioni nei mari
Per ricostruire la vicenda bisogna fare un passo indietro di qualche mese, per l’esattezza fino al 4 gennaio 2018, quando l’amministrazione di Washington ha annunciato di voler puntare tutto sulle trivellazioni offshore alla ricerca di idrocarburi. Come annunciato dal segretario di stato alle Risorse naturali, Ryan Zinke, ciò significa rilasciare 47 nuove concessioni della durata di cinque anni, che messe insieme riguardano il 90 per cento delle acque territoriali degli Stati Uniti. Il mare che circonda il territorio federale insomma torna a essere considerato un potenziale giacimento, gettando alle ortiche tutti i paletti che l’amministrazione di Barack Obama aveva posto dopo la catastrofe della piattaforma Deepwater Horizon nel golfo del Messico.
68 parchi nazionali sono minacciati dalle trivelle
Le prime vittime di questo ritorno al petrolio rischiano di essere i 68 parchi nazionali che si trovano nelle aree costiere. L’allarme arriva da un report pubblicato da due associazioni dedicate proprio alla tutela dei parchi e delle riserve naturali: la National Parks Conservation Association e il Natural Resources Defense Council.
Le trivellazioni, si legge nel report, coinvolgeranno anche alcune aree costiere che erano rimaste intoccate per decenni, come quelle della Florida e dell’Alaska. Le conseguenze ambientali rischiano di essere devastanti: problemi per la pesca, interferenze con le rotte migratorie di balene e delfini, inasprimento dei cambiamenti climatici, industrializzazione delle linee costiere, con tutto ciò che ne consegue per le comunità locali. Per non parlare del rischio di incidenti.
Non stupisce che, dopo l’annuncio di Zinke, si sia scatenata l’opposizione da parte della popolazione e anche dei governatori di diversi stati, tanto democratici (California, Connecticut, Delaware, New Jersey, New York, North Carolina, Oregon, Rhode Island, Virginia e Washington) quanto repubblicani (Florida, Maryland, Massachusetts, New Hampshire e South Carolina).
Dall’Alaska alla California, tutto ciò che rischia di andare perduto
Il report procede elencando, uno per uno, tutti i parchi nazionali che saranno in qualche modo coinvolti. E mettendo nero su bianco anche il loro valore economico.
Alaska’s national parks generate $868.8 million in economic output and support 9 thousand jobs. These same parks are now threatened by @SecerrtaryZinke’s plan to expand offshore drilling. https://t.co/o5TGgmVOmj #ProtectOurCoast pic.twitter.com/1s5sM5iGXm
— National Parks Conservation Association (@NPCA) 23 maggio 2018
In Alaska i parchi costieri sono addirittura 10 e ogni anno raggiungono 2,18 milioni di visite, per un contributo all’economia stimato in 868,8 milioni di dollari e 9.932 posti di lavoro. I parchi sono proprio la ragione principale che spinge molti visitatori a recarsi in questi luoghi anche parecchio remoti, nutrendo una fiorente industria turistica e ricettiva, il cui contributo al pil a stelle e strisce ha superato il miliardo di dollari nel 2015. Oltre all’orso bruno, alla volpe artica, all’orso polare e a centinaia di specie di uccelli e pesci, queste aree sono l’habitat di alcuni animali a rischio come la megattera e il leone marino di Steller.
Anche in California i parchi nazionali costieri sono 10 e custodiscono un patrimonio di biodiversità impossibile da descrivere in poche righe. Per fare un esempio, soltanto nella riserva costiera Point Reyes National Seashore, a quasi 50 chilometri a nord di San Francisco, sono state censite oltre cinquecento specie di uccelli. L’output economico dei parchi nazionali è stimato in 994,9 milioni di dollari, per un totale di 26,3 milioni di visite l’anno e 9.761 posti di lavoro creati. Nel suo complesso, l’industria turistica e ricettiva californiana, da sola, nel 2015 valeva oltre 22 miliardi e dava lavoro a più di 418mila persone.
Foto in apertura © Héctor Mota / Flickr
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