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Sale al 2,1 per cento il tasso complessivo di sforamento dei limiti dei residui di pesticidi negli alimenti. Il rapporto dell’Efsa.
L’Efsa, l’Autorità per la sicurezza alimentare dell’Unione europea, ha pubblicato il rapporto annuale sui residui di pesticidi negli alimenti. Dai risultati delle analisi effettuate è emerso che il tasso complessivo di sforamento dei limiti massimi di residui consentiti è passato dall’1,4 per cento nel 2018 al 2,1 per cento nel 2021.
Nel 2021 l’Unione europea ha analizzato 87.863 campioni di prodotti alimentari riscontrando che il 96,1 per cento di essi è risultato nei limiti di legge per quanto riguarda la contaminazione da pesticidi. Sul totale dei campioni, 13.845 sono stati analizzati in base allo specifico programma di controllo coordinato dall’Ue (Eucp) che prevede il prelievo casuale di campioni da 12 prodotti alimentari che per il 2021 erano: melanzane, banane, broccoli, funghi coltivati, pompelmi, meloni, peperoni, uva da tavola, olio vergine d’oliva, grano, grasso bovino e uova di gallina. Il 58,1 per cento dei campioni sono risultati privi di residui quantificabili; il 39,8 per cento contenevano uno o più residui in concentrazioni inferiori o pari ai limiti ammessi; il 2,1 per cento conteneva residui superiori ai livelli consentiti.
In particolare l’uva da tavola (22,2 per cento), le banane (18,5 per cento), i pompelmi (18,4 per cento) e i peperoni (12,8 per cento) sono stati i prodotti alimentari con il maggior numero di campioni con residui multipli. Il numero più elevato di residui multipli è stato riscontrato in un campione di peperone in cui sono stati quantificati 28 pesticidi diversi, seguito da un campione di uva da tavola in cui sono stati quantificati 19 pesticidi.
Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente (Aea), che ha recentemente ribadito in un rapporto che l‘uso generalizzato di pesticidi è un rischio per l’ambiente e la salute, l’83 per cento dei suoli agricoli contiene residui di pesticidi. Dal 2011 al 2020, le vendite di pesticidi negli Stati membri dell’Ue-27 sono rimaste relativamente stabili a circa 350mila tonnellate all’anno, ma i problemi principali per l’agenzia sono tre: la persistenza nell’ambiente di sostanze vietate da anni, come l’atrazina, il ricorso frequente da parte degli Stati all’uso in deroga di pesticidi vietati e le nuove sostanze i cui effetti possono essere riconosciuti solo dopo molti anni.
Nell’ottica di riduzione dell’utilizzo dei pesticidi entro il 2030 indicata nella strategia Farm to fork del Green deal europeo, la Commissione europea ha presentato il 22 giugno scorso la sua proposta di un nuovo Regolamento per l’utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari (Sur) che è ora al vaglio del Parlamento e del Consiglio europei. Per quanto riguarda nello specifico l’Italia, come spiegato dalla coalizione Cambiamo agricoltura, il nostro Paese resta al secondo posto dopo la Spagna per consumo di pesticidi ed è in ritardo con l’aggiornamento del principale strumento per la gestione dei pesticidi, il Piano d’azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti ditosanitari (Pan) scaduto dal febbraio 2019; dall’altra parte, l’Italia ha mostrato lungimiranza nel fissare nel Piano strategico nazionale della Pac 2023-2027 il raggiungimento dell’obiettivo del 25 per cento di superficie agricola coltivata in biologico entro il 2027, anticipando di tre anni quello fissato a livello europeo.
Il 1° maggio scorso Cambiamo agricoltura ha organizzato due marce per lo stop ai pesticidi, una a Follina in provincia di Treviso e una attorno al lago di Caldaro in provincia di Bolzano, due territori dove l’agricoltura intensiva dipende fortemente dalle sostanze chimiche di sintesi per la produzione di prosecco in Veneto e di mele in Trentino Alto Adige. La mobilitazione aveva lo scopo di cessare le continue richieste di deroghe come quella recentemente annunciata da parte della Regione Veneto e di altre Regioni per l’utilizzo del pesticida clorpirifos, utilizzato per contrastare l’avanzata della flavescenza dorata che ha colpito i vigneti del prosecco ma la cui pericolosità, associata a disturbi dello sviluppo neurologico nei bambini, è dimostrata anche a basse dosi.
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