Lo studio di Save the children sulla maternità in Italia si intitola Le equilibriste. Perché conciliare lavoro e famiglia significa scontrarsi con ostacoli pratici e culturali.
Save the children ha pubblicato la nuova edizione del suo report sulla maternità in Italia, intitolato Le equilibriste.
Rispetto ai padri, è più frequente che le madri non abbiano un lavoro oppure che si debbano dimettere.
I carichi familiari ricadono ancora in misura maggiore sulle donne e i servizi pubblici, nidi in primis, appaiono insufficienti.
A una settimana dal rientro dalla maternità, Serena è stata convocata dal titolare dello studio per cui lavorava. Ha scoperto, così, che la sua collaborazione non era più necessaria. Il datore di lavoro di Daniela invece ha preferito direttamente non assumerla, temendo di dover gestire la sua assenza per una futura gravidanza. Martina ha rinunciato a diverse opportunità di impiego perché incompatibili con le terapie per il suo bambino affetto da autismo. Serena, Daniela e Martina sono equilibriste. Così l’organizzazione non governativa Save the children definisce le madri italiane, con un report che indaga il loro difficile vissuto, il divario di genere nel lavoro e nella cura familiare e le (insufficienti) politiche di sostegno alla genitorialità.
Il 2022 ha sancito il minimo storico delle nascite in Italia con un -1,9%. Le donne hanno meno figli e c’è una relazione diretta e positiva tra partecipazione femminile al mercato del lavoro e fecondità. #mammeequilibriste#nonèunpaesepermammehttps://t.co/CCNmpZ4GVL
— Save the Children IT (@SaveChildrenIT) May 10, 2023
Denatalità in Italia, un fenomeno che ha tante cause
Nel 2022 la natalità in Italia ha segnato il suo minimo storico. L’Istat fa sapere che sono stati registrati all’anagrafe meno di 400mila bambini e bambine, 392.598 per la precisione. Considerato che ci sono stati meno di 7 neonati e più di 12 decessi ogni mille abitanti, non stupisce che la popolazione italiana sia diminuita ancora, arrivando a 58,8 milioni di persone. Fino al 2018 superava i 60 milioni.
Tra le donne nate negli anni Ottanta, quindi vicine alla fine della loro vita riproduttiva, una su quattro non ha figli, una su quattro ne ha uno e due su quattro ne hanno due o più. Si diventa madri sempre più tardi: l’età media al primo parto è di 31,6 anni, tre in più rispetto al 1995, e nell’8,9 per cento dei casi il primo figlio arriva dopo i quarant’anni.
La denatalità è un fenomeno complesso, frutto di varie dinamiche sociali, economiche, culturali e sanitarie. Pretendere di trovare una singola causa e una singola soluzione sarebbe una semplificazione fuorviante e, tutto sommato, poco utile. Quello che fa Save the children, nelle 77 pagine del rapporto Le equilibriste, è chiedersi cosa stiano facendo lo stato e il mondo del lavoro per agevolare la genitorialità. Il quadro che ne emerge è tutt’altro che positivo.
Per le madri è più difficile conciliare lavoro e famiglia
A cominciare dal lavoro, filo conduttore delle testimonianze raccolte da Save the children. Ad oggi, i dati dimostrano che avere figli penalizza le donne. Guardando al 2021 e alla fascia di età 25-49 anni, per ogni 100 donne senza figli occupate, quelle con figli in età scolare che sono occupate sono solo 73. Un divario che si allarga quando il livello di istruzione è più basso. Per i padri il meccanismo è opposto: dovendo provvedere (talvolta solo con il loro stipendio) alle necessità economiche della famiglia, tendono a inserirsi di più nel mercato del lavoro e anche a essere più produttivi.
Capita anche di dover lasciare il lavoro per occuparsi della famiglia. Nel 2011 erano quasi esclusivamente le donne a prendere questa decisione, con una schiacciante incidenza del 97,1 per cento contro il 2,9 per cento degli uomini. Nel 2022 la distanza si è ridotta, ma resta netta: 71,8 per cento contro 28,2 per cento. Così com’è netta la differenza in termini di motivazioni addotte all’ispettorato del lavoro. Le madri che si dimettono lo fanno nel 65 per cento dei casi perché non riescono più a conciliare il lavoro con la cura della famiglia, nel 22 per cento dei casi perché passano a un’altra azienda e nel 4 per cento perché la sede è troppo distante. Gli uomini, invece, danno le dimissioni quasi solo per cambiare azienda (78 per cento): pochissimi, soltanto il 3 per cento, per occuparsi della famiglia.
Le equilibriste, tra cura dei figli e nidi insufficienti
Da queste risposte è lecito supporre che la cura dei figli ricada ancora quasi solo sulle “equilibriste”. Un’ipotesi confermata dai dati del report. L’87 per cento delle donne intervistate, infatti, si dice soddisfatta della collaborazione del partner. Se si vanno però a conteggiare le ore dedicate all’accudimento, si scopre che la media è di 16 al giorno per le madri e 7 al giorno per i padri. E che ci sono attività, come l’assistenza durante i risvegli notturni o i pasti, che otto volte su dieci sono una prerogativa femminile.
Il nido può essere un aiuto rilevante, ma sei intervistate su dieci dichiarano che il proprio bambino (o bambina) non lo frequenta. Questo avviene nella metà dei casi perché la donna non lavora e nel 27 per cento dei casi per carenze del servizio pubblico: rette troppo care, esclusione dalla graduatoria, mancanza di strutture in zona.
È esemplificativo il fatto che il 46 per cento delle intervistate non abbia intenzione di fare altri figli. Tra queste, il 40 per cento ritiene che sia troppo faticoso, il 33 per cento teme di non riuscire a conciliare vita lavorativa e familiare, il 26 per cento non ha abbastanza supporto e un’analoga percentuale sostiene che non ci siano abbastanza servizi per aiutare a gestire il rientro lavoro, o la vita sociale e di coppia.
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