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di Chiara Boracchi e Tommaso Perrone Il caso del centro oli di Viggiano e di Tempa Rossa, in Basilicata, sono la punta di un iceberg che alla base nasconde una rete di scandali e reati riconducibile allo sfruttamento del petrolio. Negli ultimi due anni e mezzo 189 persone sono state indagate: 97 per reati
Il caso del centro oli di Viggiano e di Tempa Rossa, in Basilicata, sono la punta di un iceberg che alla base nasconde una rete di scandali e reati riconducibile allo sfruttamento del petrolio. Negli ultimi due anni e mezzo 189 persone sono state indagate: 97 per reati ambientali e sanitari, 92 quelle sotto indagine per reati legati a corruzione, truffa e frode fiscale. A cercare di fare chiarezza sulle conseguenze dell’estrazione di petrolio e gas in Italia è il dossier Sporco petrolio – la lunga scia della corruzione, dell’inquinamento e del malaffare. I numeri e le storie dell’altra faccia dell’oro nero presentato l’8 aprile a Perugia, durante il Festival internazionale del giornalismo.
La Basilicata, però, non è l’unica regione colpita dagli effetti dell’inquinamento e del malaffare legati all’estrazione di petrolio. Se ci si sposta in Sicilia, in provincia di Siracusa, è emblematica la storia dell’area archeologica di Thapsos, nel comune di Priolo Gargallo: sito risalente al Tredicesimo secolo a.C. che ha subito i danni da inquinamento e perdita di contesto a causa della costruzione di uno dei pontili più usati per la movimentazione del greggio ragusano. Secondo Sebastiano Tusa, archeologo e soprintendente del Mare della Sicilia “tutta questa zona è una delle più ricche del Mediterraneo dal punto di vista archeologico”. Il polo petrolchimico “ha distrutto una parte dei contesti dei siti e ha inquinato fortemente il mare, rendendo gli scavi subacquei più difficili — continua Tusa —. A circa un miglio a sud di Thapsos c’è un relitto di epoca greca-ellenistica molto importante perché trasportava avorio destinato a Siracusa. Dai nostri primi recuperi e dalle prime indagini risulta che le sabbie sul fondale marino siano impregnate di sostanze inquinanti. Si tratta di una situazione molto grave, sia dal punto di vista ambientale, sia culturale”
“Andare a votare il 17 aprile significa dare un segnale chiaro e inequivocabile sulla politica energetica che vogliamo. Partecipare al referendum non significa solo voler porre un limite alla durata delle concessioni di ricerca ed estrazione di petrolio e gas entro le 12 miglia: vuol dire indicare quale futuro desideriamo per i cittadini e i territori di questo paese”, ha dichiarato la presidente nazionale di Legambiente Rossella Muroni commentando il rapporto.
La fine dell’era dei combustibili fossili, infatti, non è solo una questione ambientale o legata alla salute delle persone e degli ecosistemi. È anche un tentativo di spezzare una catena i cui anelli sono legati da dinamiche negative basate sul malaffare, su un giro di affari e di interessi privati che poco hanno a che vedere con la fame di energia degli italiani. Per tutti questi motivi, conclude Muroni, bisogna andare a votare il 17 aprile, per dire a tutti “quale futuro desideriamo per i cittadini e i territori di questo paese; vuol dire spingere l’Italia verso un futuro pulito, libero dall’illegalità, dai rischi e dall’inquinamento che caratterizzano la filiera del petrolio”.
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