La Cop28 è finita, ma bisogna essere consapevoli del fatto che il vero test risiede altrove. Dalla disinformazione al ruolo delle città, ciò che conta avviene lontano dai riflettori.
Per gli stati isola del Pacifico, partecipare alla Cop 26 è quasi impossibile
Alla Cop 26 di Glasgow mancherà circa un terzo degli stati isola del Pacifico, gli stessi che subiscono gli effetti più pesanti della crisi climatica.
- Circa un terzo degli stati isola del Pacifico non potrà mandare nessun rappresentante alla Cop 26 di Glasgow. Altri si dovranno accontentare di delegazioni molto ridotte.
- Uno dei motivi principali sta nelle restrizioni ai viaggi internazionali dovute alla pandemia in corso. Si aggiungono anche i costi e le difficoltà logistiche.
- Tali assenze rischiano di indebolire il summit. Questi territori infatti subiscono le conseguenze più gravi della crisi climatica e hanno sempre lottato per far sentire la propria voce.
Era il 2015 quando l’uragano Pam, uno dei più violenti della storia, ha devastato Vanuatu, l’arcipelago di 83 isole nell’oceano Pacifico. Nell’arco di poche ore si sono registrati 24 morti, 75mila sfollati e sono andati in fumo i due terzi del pil. Nel 2020 è stato il turno del ciclone Harold, anch’esso di categoria 5, che si è lasciato alle spalle un cimitero di alberi sradicati e case rase al suolo. Disastri naturali amplificati dai cambiamenti climatici, gli stessi che hanno già costretto gli abitanti delle isole Torres (quelle più a nord dell’arcipelago) a fare le valigie e allontanarsi dalla costa, minacciati dall’innalzamento del livello dei mari. Eppure, alla Cop 26 di Glasgow, il più importante summit internazionale dedicato al clima, la delegazione di Vanuatu non ci sarà. Troppo costoso raggiungere il Regno Unito, troppo difficile ottemperare alle restrizioni anti-Covid. Si trova nella stessa situazione circa un terzo degli stati isola del Pacifico.
Alla Cop 26 mancherà chi subisce di più la crisi climatica
Stando alle notizie riportate dal quotidiano Guardian, un terzo degli stati isola del Pacifico non potrà inviare nessun rappresentante del proprio governo alla Cop 26 che si aprirà il 31 ottobre. Altri dovranno accontentarsi di delegazioni molto più ridotte del previsto. Assenze che rischiano di indebolire già in partenza il summit, considerato che questi territori subiscono in prima persona le manifestazioni più drammatiche della crisi climatica e hanno sempre lottato per far sentire la propria voce, anche riunendosi nella High ambition coalition. “Se torniamo indietro a Parigi, è stata la presenza in prima persona dei leader del Pacifico a fare la differenza e a portarci all’obiettivo di 1,5 gradi centigradi che ora abbiamo nell’accordo”, sottolinea Ralph Regenvanu, antropologo, artista e leader dell’opposizione del parlamento di Vanuatu.
Perché per i delegati degli stati isola del Pacifico è così difficile andare a Glasgow
Uno dei motivi principali sta nelle restrizioni ai viaggi internazionali dovute alla pandemia in corso. Molti stati isola del Pacifico infatti sono riusciti a mantenere livelli di contagio molto bassi perché hanno sbarrato completamente i confini. Per i loro leader, recarsi al summit di Glasgow significa sottoporsi a una quarantena che può durare fino a un mese. “Ci si aspetta che il capo di stato partecipi a questi summit, ma non possiamo permetterci che il presidente sia indisponibile per un periodo di tempo così lungo”, sottolinea Albon Ishoda, ambasciatore delle isole Marshall. Le cose non sono più facili per gli attivisti e i membri della società civile. Non tutti hanno la possibilità di rinunciare a un mese di lavoro, pagare voli che costano molto di più rispetto al periodo pre-Covid e aggiudicarsi uno dei pochi (costosissimi) alloggi rimasti in città. Se alle precedenti edizioni se ne sono presentati 70-80, stavolta saranno al massimo una trentina.
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