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Gli Stati Uniti bloccano le trivellazioni nell’Artico
Dopo Shell, anche Obama blocca le trivellazioni nell’Artico sospendendo la valutazione delle richieste di nuove licenze. È davvero la parola fine a una telenovela che va avanti da anni?
“Sì, no, non lo so ci dovrei pensare”. La telenovela infinita sulle trivellazioni al Circolo polare artico sembra finalmente giunta a una conclusione. Almeno per ora. Dopo la decisione della compagnia petrolifera Shell di abbandonare “le attività di trivellazione al largo delle coste dell’Alaska per il prossimo futuro” perché troppo costoso, anche il governo degli Stati Uniti, per voce della segretaria degli Interni Sally Jewell, ha deciso di tornare sui suoi passi e non andare avanti con le richieste di esplorazioni alla ricerca di petrolio nel mare dei Ciukci e nel mare di Beaufort.
Shell aveva deciso di mollare il colpo a settembre in seguito al calo drastico del prezzo del petrolio e dopo aver investito sette miliardi di dollari per sette anni senza aver cavato un barile dal mare, nonostante le previsioni dello Us geological survey abbia stimato che l’Artico ospita il 13 per cento delle riserve di greggio ancora inesplorate.
Jewell ha giustificato la decisione affermando che la cancellazione delle richieste di licenza previste per il 2016 e il 2017 è stata presa sia considerando il calo del prezzo del petrolio sulle borse internazionali, sia valutando le pessime condizioni in cui le attività di esplorazione vengono condotte.
Le organizzazioni ambientaliste esultano anche se, purtroppo, larga parte della decisione presa dall’amministrazione Obama, secondo molti analisti, non è dovuta alla loro pressione bensì a mere valutazioni di interesse. Non a caso Michael LeVine di Oceana ha dichiarato che “questi sono passi importanti nella giusta direzione, ma non è la fine delle trivellazioni artiche per sempre”. Greenpeace, che per mesi ha portato avanti la protesta dei kayak nella baia di Seattle, ha annunciato che per salutare la decisione positiva di Obama “alzerà le pagaie”.
Il fatto che il petrolio non sia più economicamente vantaggioso, in ogni caso, va accolto come una notizia positiva, un segno dei tempi che ci fa capire come il capitalismo vecchia scuola, basato soprattutto sulla ricerca e lo sfruttamento di combustibili fossili, stia davvero lasciando il passo a una forma di sviluppo più sostenibile ed equilibrato.
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