Tempesta Vaia. La voce di chi sta lavorando per far rinascere i boschi del Trentino

Per l’Earth Day 2021 abbiamo intervistato Paolo Kovatsch, responsabile del recupero delle aree della provincia di Trento distrutte dalla tempesta Vaia.

“Restore our earth”, letteralmente “ripristiniamo il nostro Pianeta”. È il messaggio forte lanciato dall’edizione 2021 della Giornata della Terra del 22 aprile. Una missione che ci coinvolge tutti e assume un valore ancora più profondo tra Veneto e Trentino dove, il 29 ottobre 2018, la tempesta Vaia ha raso al suolo i boschi di abeti rossi narrati nei romanzi di Mario Rigoni Stern. Le stime parlano di 42.800 ettari colpiti e 14 milioni di metri cubi di legname abbattuti tra Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Lombardia. A più di due anni dal disastro, si lavora con pazienza e perizia per riparare i danni e dare una nuova vita alla foresta. Abbiamo chiesto un aggiornamento a Paolo Kovatsch, responsabile tecnico dell’Agenzia provinciale delle foreste demaniali della Provincia autonoma di Trento, che dirige le azioni di recupero e ripristino delle aree boscate di proprietà provinciale.

Gli effetti della tempesta Vaia sull'altopiano di Asiago
La tempesta Vaia, abbattutasi sul Nordest nell’ottobre 2018, ha provocato gravissimi danni alle foreste, abbattendo centinaia di migliaia di alberi © Vittorio Zunino Celotto/Getty Images

Cosa è stato fatto finora per il ripristino della foresta?
La tempesta Vaia è un evento eccezionale che ha spiazzato tutti perché nel lato meridionale delle Alpi non aveva precedenti storici registrati, o almeno non su una zona così ampia che parte dal Friuli per arrivare fino alla parte orientale della Lombardia. A parte lo sbandamento e lo sconvolgimento mentale vissuto nei primi momenti, questo ha comportato la necessità di organizzarsi su come procedere.

La prima attività è stata quella di ripristinare la viabilità forestale per attivare il recupero del materiale schiantato a terra. Ora le cose vanno abbastanza bene perché in Trentino abbiamo recuperato almeno i due terzi del legname e ne abbiamo venduto il 70 per cento. Questo però è l’ultimo anno in cui potremo trovare legname che ha un certo valore economico, perché le piante si degradano dopo tre anni a terra. Un 10-15 per cento comunque resterà dov’è, perché si trova in zone irraggiungibili, dove non c’è viabilità o dove intervenire risulta troppo costoso.

Il legname va recuperato per tamponare il danno economico subìto dalle varie proprietà (nelle foreste demaniali, ad esempio, la tempesta ne ha schiantato a terra una quantità pari a 17-18 volte quella che si tagliava in un anno) e per poter procedere con i rimboschimenti. Questi ultimi sono necessari per tre motivi: innanzitutto c’è una questione di sicurezza del territorio, perché le superfici boscate proteggevano gli abitati e la viabilità pubblica da caduta massi e di valanghe; poi entrano in gioco questioni paesaggistiche ed economiche.

Quali sono i prossimi passi, dopo il recupero del legname schiantato?
Fatta eccezione per alcune zone particolarmente delicate su cui si sta attivando la provincia, ogni proprietario potrà decidere cosa fare per la ricostruzione del soprassuolo boscato. Il rimboschimento richiede un certo impegno finanziario quindi bisognerà fare delle scelte. Oltretutto, i boschi abbattuti non sono tutti omogenei tra loro. A quote medio-basse, dove magari c’erano già arbusti o piante giovani, il bosco si richiuderà da solo nell’arco di qualche anno; in altre zone invece servirà un intervento di piantumazione.

Quali saranno le differenze tra il vecchio bosco, fatto soprattutto di abeti rossi, e quello nuovo?
In altre zone l’attività di ripristino è stata avviata l’anno scorso, ma nelle foreste demaniali partirà quest’anno a Paneveggio e San Martino di Castrozza. Essendo in vigore da anni la sospensione della caccia, la presenza di ungulati selvatici – soprattutto cervi – è particolarmente abbondante: ciò significa che bisognerà proteggere le piantine messe a dimora, per evitare che gli animali le danneggino sistematicamente. Proprio in questi giorni si stanno facendo i sopralluoghi con le ditte coinvolte per realizzare recinzioni adeguate all’interno delle quali si andranno a piantumare i nuovi alberi.

Il nuovo bosco in alcune zone potrebbe essere diverso da quello vecchio, in altre zone non molto. A Paneveggio, dove il clima è molto rigido, oltre all’abete rosso realisticamente si può mettere a dimora il larice o, in modo marginale, il pino cembro. Nella foresta di Cabino invece il clima è relativamente freddo ma molto più umido, adatto quindi anche ad altre specie come l’abete bianco, il faggio, il ciliegio e il tiglio.

Quali sono i tempi previsti?
Quello che per noi umani resta difficile da accettare è che i lavori fatti in questi dieci anni permetteranno di avere un bosco sviluppato fra cento o duecento anni. L’uomo tende a darsi dei limiti temporali che sono quelli della sua coscienza, ma il bosco ha ritmi molto più lenti.

Faccio un esempio. Nel 1966 una grossa alluvione schiantò a terra un’ampia zona della foresta demaniale di Cadino. A Paneveggio invece le piante vennero tagliate in occasione della prima guerra mondiale. Nessuno, camminando in quei boschi prima di Vaia, avrebbe potuto immaginare che “solo” cinquanta o cent’anni prima lì non ci fosse niente. La loro evoluzione è molto articolata.

Lei ha citato il tema dell’impegno economico. Per il ripristino della foresta Vaia la provincia utilizzerà il fondo del valore di 1,29 milioni di euro predisposto dal governo. Esistono altre fonti di finanziamento, pubbliche o private?
Oltre al fondo del governo, sia in Trentino sia altrove, sono partiti diversi progetti. Per esempio c’è il Trentino Tree Agreement, una raccolta fondi volontaria a cui hanno da subito aderito anche diverse aziende, oltre ai privati. Questi soldi serviranno in primis per il rimboschimento di alcune foreste demaniali. Nel frattempo noi siamo partiti con i lavori e la provincia ha stanziato i fondi, in aggiunta a quelli che andrà a recuperare dallo Stato. Insomma, le forme di finanziamento ci sono state.

Ma una cifra come 1,29 milioni di euro, parametrata sulle operazioni che dovete svolgere, è alta o bassa?
Faccio qualche esempio per dare un ordine di grandezza. Ai privati sono state fornite gratuitamente le piantine. La messa in opera di una piantina, compresa la manodopera, ha un costo di 6-10 euro. Come foreste demaniali, noi andremo anche a realizzare delle recinzioni che hanno un costo di 60-70 euro a metro lineare. I recinti andranno realizzati a macchia di leopardo, con un certo distanziamento, per lasciare spazio agli animali selvatici o anche banalmente ai cercatori di funghi che vogliono farsi una passeggiata nel bosco. In quest’ottica, un recinto di questo tipo può costare dai 10 ai 15mila euro. Per ricostruire alcuni ettari di foresta tra Paneveggio e San Martino di Castrozza, abbiamo progettato e periziato interventi per circa 500mila euro.

Interi versanti sono cambiati per sempre © Giorgio Vacchiano

La Giornata della terra 2021 è dedicata al ripristino degli ecosistemi. Qual è l’auspicio da parte di una persona che, come lei, se ne occupa per lavoro?
Come accennavo prima, noi umani abbiamo una concezione molto personalistica della natura e cerchiamo sempre di ricondurla ai nostri ritmi e alle nostre misure. Possiamo effettuare tutti gli studi possibili e immaginabili, ma le attività di ripristino ambientale si andranno comunque a sviluppare secondo una serie di variabili che non potremo mai sintetizzare in un algoritmo. La natura ha i suoi equilibri: se si schiantano gli alberi a terra significa che magari certi funghi non crescono, le formiche si spostano, arriva il gallo cedrone e così via. Qualsiasi intervento porta con sé una serie di punti di domanda.

Con la scienza, l’esperienza e la sensibilità possiamo perseguire un principio che è alla base del lavoro di un forestale: la durevolezza. Entriamo in quest’ambiente, magari preleviamo delle risorse a fini produttivi, ma cercando di preservarlo o addirittura di migliorarlo. Se paradossalmente avessimo lasciato le aree schiantate esattamente com’erano, in cento o duecento anni si sarebbero ripristinate naturalmente. Noi però abbiamo delle esigenze, di stabilità dei versanti, paesaggistiche ed economiche, e cerchiamo quindi di velocizzare questi processi.

La tempesta Vaia resterà un evento assolutamente eccezionale o dobbiamo aspettarci che sia il primo di una lunga serie?
Sicuramente è stato un evento veramente eccezionale per il lato sud delle Alpi. Potrebbe essere il primo di una serie, non lo sappiamo. Quello che posso dire, dopo aver gestito le foreste demaniali per oltre quindici anni, è che a livello di percezione si osserva un’estremizzazione di certi eventi e una maggiore frequenza di episodi più forti e mercati. In certe strade o in certi piccoli rii, la pioggerellina diffusa nelle aree limitrofe, si trasforma in forte temporale concentrato che provoca grossi danni.

 

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