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Le foreste sono fonte primaria di biodiversit
Le aree verdi del pianeta svolgono un ruolo fondamentale per l’umanità producendo ossigeno, assorbendo CO2, fornendo materie prime. Una ricchezza che si può salvaguardare solo proteggendo i popoli che qui abitano da millenni, come ricorda Survival, l’organizzazione mondiale che ne promuove la tutela.
Indigeni e tribù
I popoli indigeni e tribali sono circa 5.000 in tutto il mondo e contano nel complesso più di 370 milioni di persone. Secondo le stime riportate da Survival, gli abitanti delle foreste sarebbero circa 50-60 milioni. Sparpagliati in più di 70 nazioni diverse, gli indigeni non sono pienamente rispettati in nessuna parte del globo, nonostante la legge sulla carta riconosca i loro diritti territoriali.
Le comunità tribali sono molto spesso autosufficienti e vivono delle risorse del territorio: caccia, pesca, raccolta o ancora agricoltura e allevamento su piccola scala. Per loro la foresta è tutto: fonte di sostentamento, luogo spirituale, scuola, ospedale.
Si distinguono dalle popolazioni non-tribali che vivono nella stessa area perché parlano un’altra lingua, hanno usi e cultura diversi. Talvolta vivono in completo isolamento, evitando addirittura qualunque tipo di contatto col “mondo civilizzato”: parliamo di un centinaio di piccolissime tribù, che contano da un solo sopravvissuto a un massimo di 200 persone e che rappresentano di certo la parte più fragile dei popoli indigeni, la meno tutelata e tutelabile.
Le minacce
Tra i motivi principali di “sfratto” delle tribù dalle loro terre d’origine ci sono il taglio e lo sfruttamento illegale del legname, il disboscamento indiscriminato per far spazio agli allevamenti, le attività militari e paramilitari e l’agricoltura intensiva.
Non dimentichiamo poi il razzismo. I popoli indigeni sono spesso definiti “primitivi” e assimilati ai popoli dell’età della pietra quando in realtà, come ogni civiltà umana, si adattano costantemente all’ambiente circostante. Questo concetto, che fa pensare alle loro strutture sociali come a qualcosa di monolitico e immutato nei secoli, ha spianato la strada a governi e multinazionali che nel corso degli anni hanno costretto i popoli indigeni a sedentarizzarsi, violando il loro diritto di decidere liberamente del proprio futuro. Le conseguenze non sono mai state positive e hanno sempre portato effetti come povertà, alcolismo, prostituzione e malattie.
La tutela
L’unico strumento internazionale attualmente disponibile è la Convenzione ILO 169, adottata nel 1989 dall’agenzia delle Nazioni Unite ILO, Organizzazione Internazionale del Lavoro. Il suo obiettivo è quello di riconoscere ai popoli indigeni un insieme di diritti fondamentali, come i diritti sulle terre ancestrali ed il diritto di decidere autonomamente del proprio futuro.
Al momento gli stati che nel mondo hanno ratificato la Convenzione sono poco più di venti ed in prevalenza si tratta di aree in cui sono presenti foreste primarie, come il Costa Rica, che è stato tra i primi a sottoscrivere. Tra gli stati europei che hanno aderito (solo quattro) l’Italia non è inclusa, nonostante esistano da tempo alcuni progetti di legge assegnati alle Commissioni Esteri di Camera e Senato che però non sono mai stati discussi.
L’atto più recente è la proposta di legge C.777 presentata alla Camera per iniziativa dei deputati Migliore, Scotto, Fava, Marcon e Melilla il 16 aprile 2013, e affidata il 30 luglio 2013 alla III Commissione Affari Esteri.
Poiché la ratifica della Convenzione è legalmente vincolante, le associazioni come Survival stanno premendo perché anche il nostro governo la ratifichi non solo in segno di solidarietà, ma anche per garantire un aiuto concreto ed immediato ai popoli indigeni.
Tra i più minacciati…
Enawene Nawe: vivono in Amazzonia, sono pescatori e raccoglitori, coltivano manioca e mais e, diversamente da molti altri popoli tribali, non mangiano carne rossa. Una delle loro aree di pesca è stata invasa dai coltivatori di soia che abbattono la foresta e inquinano l’acqua con pesticidi.
Ayoreo: vivono in Paraguay, sono cacciatori-raccoglitori, ma coltivano anche zucche, grano e fagioli. Per colpa degli allevatori di bestiame, che hanno acquistato, disboscato e trasformato i terreni in grandi complessi industriali, lo stile di vita Ayoreo sta diventando impraticabile.
Nukak: vivono in Colombia, nella foresta amazzonica. Sono cacciatori, pescatori, raccolglitori. Il loro territorio è da tempo teatro di battaglia tra i coltivatori di coca e l’esercito per il controllo della droga. Oggi oltre metà dei Nukak sono morti o hanno abbandonato la propria terra.
Penan: sono nomadi e vivono nel Borneo. Le foreste dei Penan vengono abbattute ad uno dei tassi più alti al mondo a causa delle compagnie di disboscamento malesi, tra cui la Samling e la Shin Yang, che operano con il pieno appoggio statale per lasciare spazio alle piantagioni di palma da olio. La perdita di habitat riduce i Penan in estrema povertà. Inoltre molti degli operai che fanno parte di queste compagnie sono accusati di violenze contro le ragazze e le donne della comunità.
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