
Il 2 giugno si celebra la Giornata mondiale delle torbiere. Un’occasione per parlare di questi ecosistemi poco conosciuti e silenziosi, ma fondamentali per il clima, l’acqua, la biodiversità e la memoria del nostro Pianeta.
Sono stati annunciati i sei vincitori, quattro donne e due uomini, del “Nobel per l’ambiente”. Ecco le loro storie.
La maggior parte degli eroi che si battono per la tutela del nostro pianeta non ha certamente la popolarità di Greta Thunberg, astro nascente dell’ambientalismo mondiale, in molti casi provengono da luoghi così distanti che empatizzare con loro è forse più difficile e, senza dubbio, le loro storie sono meno appetibili per la stampa. Eppure in tutto il pianeta migliaia di persone rischiano letteralmente la propria vita e quella dei loro cari per opporsi allo sfacelo ambientale, all’oppressione dei popoli indigeni, allo sterminio di specie protette e alla distruzione delle foreste. Rendono, insomma, un servizio indispensabile all’umanità intera, anche se questa non ne è sempre consapevole. Per premiare lo straordinario impegno di queste persone è stato istituito nel 1989 il Goldman environmental prize, noto anche come premio Nobel per l’ambiente.
We are thrilled to announce the 2019 Goldman Environmental Prize winners: Alfred Brownell, Bayarjargal Agvaantseren, Ana Colovic Lesoska, Jacqueline Evans, Linda Garcia and Alberto Curamil. https://t.co/3asBzqacQQ #GoldmanPrize30 pic.twitter.com/udXxCSIjEU
— Goldman Prize (@goldmanprize) 29 aprile 2019
Il Goldman environmental prize viene conferito ogni anno a sei persone in grado di ispirare tutti noi ad agire per proteggere il nostro pianeta e provenienti da differenti aree del globo: Europa, Asia, Stati Uniti, Sud e Centro America, Africa e Australia. Dalla sua nascita il premio, che quest’anno ha raggiunto la trentesima edizione, ha avuto un innegabile impatto positivo sul pianeta, facendo luce su molte gravi problematiche che affliggono la Terra.
La Goldman environmental foundation ha annunciato i sei vincitori dell’edizione del 2019, sono: Alberto Curamil, Linda Garcia, Jacqueline Evans, Ana Colovic Lesoska, Bayarjargal Agvaantseren e Alfred Brownell. “Sono così commosso e ispirato da questi sei pionieri ambientali – ha dichiarato in occasione della cerimonia di premiazione Susie Gelman, presidente della Goldman environmental foundation. – Ognuno di loro si è battuto altruisticamente per fermare l’ingiustizia. Questi sono sei esseri umani ordinari, ma al tempo stesso straordinari, che ci ricordano che tutti noi abbiamo un ruolo nel proteggere la Terra”. Scopriamo come hanno contribuito a rendere il pianeta un posto migliore.
Alberto Curamil, 45 anni, è un Mapuche, popolo indigeno della Patagonia cilena il cui nome significa “popolo della Terra”. Curamil ha organizzato la propria comunità, che vive nella regione dell’Araucanía (la regione più povera del Paese), nel Cile centrale, per opporsi alla realizzazione di due progetti idroelettrici sul fiume Cautín, ritenuto sacro dai nativi. Non si tratta solo di una questione di fede, gli impianti idroelettrici avrebbero infatti deviato ogni giorno centinaia di milioni di litri d’acqua, danneggiando l’ecosistema, esacerbando le condizioni di siccità e mettendo in ginocchio i Mapuche che dipendono dai fiumi per il loro sostentamento. Curamil e la sua gente hanno vinto la loro battaglia: alla fine del 2016 i progetti sono stati abbandonati. L’uomo è però stato arrestato nel 2018 per la presunta partecipazione ad attività criminali, mentre secondo i suoi familiari sarebbe stato incarcerato a causa del suo attivismo ambientale, ed è tuttora in prigione (il premio è stato ritirato da sua figlia).
Linda Garcia ha 51 anni ed è residente nel quartiere di Fruit valley a Vancouver, nello stato di Washington. La donna, grazie alla sua lotta, ha impedito la costruzione del più grande terminal petrolifero del Nord America, che avrebbe dovuto trasportare giornalmente oltre cinque milioni di litri di greggio. Garcia ha coinvolto nelle sue proteste i residenti della Fruit Valley, salvaguardando così la loro salute e lo straordinario e variegato ambiente della gola del Columbia, un canyon del fiume Columbia. Se fosse stato costruito, riporta il sito del Goldman environmental prize, l’impianto avrebbe prodotto una quantità di inquinamento cinque volte superiore a quella del gasdotto Keystone XL e avrebbe trasformato la regione in un corridoio di combustibili fossili per i prossimi 50 anni.
Nel 2012 Jacqueline Evans ha avviato una campagna di cinque anni per proteggere la straordinaria biodiversità marina delle Isole Cook, nell’Oceano Pacifico meridionale, che comprende una grande varietà di specie minacciate, come balene, tartarughe marine e squali. L’obiettivo della donna, 48 anni, biologa marina, era quello di tutelare l’ecosistema marino dalla pesca industriale, il governo delle Isole Cook dipende infatti in larga misura dalle entrate derivanti dalla concessione di licenze alle navi straniere per pescare il tonno nelle sue acque. Nel 2017, nonostante le reticenze di alcuni esponenti del governo, Evans è riuscita nel suo intento: il governo ha promulgato una legge che impone la gestione sostenibile dell’intero territorio oceanico che circonda le isole e ha istituito 15 aree completamente protette.
La lince dei Balcani (Lynx lynx balcanicus), sottospecie di lince eurasiatica, è uno dei mammiferi più rari del pianeta, si stima infatti che ne sopravvivano appena cinquanta tra Albania, Macedonia, Kosovo e Montenegro. Questo elusivo carnivoro sembra dunque condannato all’estinzione a causa della distruzione dell’habitat, del bracconaggio e della riduzione delle prede. Ana Colovic Lesoska, 39enne biologa macedone, non poteva però accettare la scomparsa di questo affascinante predatore e ha iniziato una lunga battaglia per impedire la realizzazione di due grandi centrali idroelettriche all’interno del parco nazionale di Mavrovo, nella Macedonia settentrionale, habitat delle ultime linci dei Balcani. Grazie ad una campagna durata sette anni, nota come “Save Mavrovo”, la donna ha convinto la Banca mondiale e la Banca europea a ritirare i finanziamenti inizialmente previsti per la costruzione degli impianti. Il parco di Mavrovo, uno dei più antichi e selvaggi del Vecchio continente, e la sua grande varietà di abitanti sono un po’ più al sicuro.
Come Ana Colovic Lesoska, anche Bayarjargal Agvaantseren, 49enne insegnante e guida turistica della Mongolia, ha dedicato la sua vita alla tutela di un grande felino minacciato, il fantasma delle montagne: il leopardo delle nevi (Panthera uncia). La donna ha contribuito a creare la riserva naturale Tost Tosonbumba nel 2016, area protetta di oltre 700mila ettari nel deserto del Sud del Gobi, habitat del raro carnivoro. Grazie alla sua costante pressione, Agvaantseren è riuscita a convincere il governo mongolo a cancellare tutte e 37 le licenze minerarie presenti all’interno della riserva. A partire dal giugno 2018 non ci sono miniere attive all’interno dell’area protetta e tutte le operazioni minerarie sono illegali: una vittoria senza precedenti per il leopardo delle nevi. Agvaantseren ha fondato la Snow leopard conservation foundation nel 2007, impegnandosi a mitigare i conflitti tra pastori e leopardi, e dirige l’International snow leopard trust.
Alfred Brownell, 53 anni, liberiano, è un avvocato per i diritti umani, attivista ambientalista e direttore esecutivo di Green advocates (GA), una ong nata per rappresentare le comunità che cercano di proteggere i loro diritti ambientali e umani. Brownell ha contribuito in maniera determinante alla protezione di oltre 200mila ettari di foresta primaria della Liberia, straordinario hotspot di biodiversità, consentendo alle comunità indigene di continuare la loro gestione della foresta. Il suo lavoro ha ostacolato la distruzione delle foreste tropicali per farne piantagioni di olio di palma, esponendolo così a reiterate minacce. Per la sua sicurezza l’uomo, con la sua famiglia, è dovuto emigrare negli Stati Uniti. Le foreste pluviali del golfo di Guinea, che Brownell ha protetto strenuamente, rappresentano una delle 25 zone più importanti per la biodiversità del pianeta. L’area ospita numerose specie in pericolo di estinzione, tra cui scimpanzé, ippopotami pigmei, pangolini arborei e la più grande popolazione di elefanti dell’Africa occidentale.
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