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Agricoltura, la strada verso il giusto compenso
Filiera corta, agricoltura di precisione, valorizzazione dello scarto, biodiversità: alcuni agricoltori ci raccontano come si può ottenere un’equa remunerazione per il proprio lavoro.
Prodotti sani, locali, biologici, con packaging sostenibili, del commercio equo: negli ultimi due anni, secondo uno studio internazionale commissionato da Sial, il Salone Internazionale dell’Alimentazione che si svolge in Francia biennalmente, 62 italiani su 100 hanno cambiato il loro modo di fare la spesa prediligendo alimenti che rispondono a queste caratteristiche. In particolare tre italiani su quattro hanno adottato un’alimentazione più sana, il 65 per cento ha acquistato cibo locale e regionale, il 45 per cento ha guardato la lista degli ingredienti e ha optato per prodotti biologici, il 40 per cento ha scelto confezioni riciclabili, il 47 per cento ha preferito alimenti provenienti da una filiera etica.
Nel fare la spesa con questa aumentata consapevolezza, gli italiani hanno notato un maggiore impegno delle imprese nel food nel migliorare la tracciabilità e trasparenza dei prodotti, mentre secondo i consumatori molto resta da fare sul fronte della riduzione dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua, (il 91 per cento la ritiene prioritaria e, di questi, il 39 per cento pensa che quanto fatto sia molto insufficiente), della tutela della biodiversità (importante per il 90 per cento dei consumatori e per cui, secondo uno su tre, non è stato fatto abbastanza) e dell’equo compenso per gli agricoltori (il 92 per cento ritiene che dovrebbero ottenere un compenso più adeguato e, tra questi, il 44 per cento crede che nessun sforzo sia stato fatto per questo obiettivo).
Giusto compenso: da una lunga filiera a una filiera corta
Riguardo a quest’ultimo tema, uno dei nodi della questione è il numero di intermediari nella filiera ortofrutticola tra agricoltore e consumatore che rende i piccoli produttori fragili di fronte a logiche distributive nazionali: il prezzo a cui riescono a vendere frutta e verdura sul grande mercato molte volte copre appena i costi del lavoro sul campo. Quali sono le soluzioni, allora, per garantire il giusto compenso all’agricoltura? Accorciare la filiera è sicuramente una di queste. Lo spiegano alcuni degli agricoltori che hanno aderito a Biorfarm, la prima comunità agricola digitale attraverso cui si può adottare un albero supportando i piccoli coltivatori e ricevere a casa prodotti biologici direttamente dall’agricoltore.
Dal produttore al consumatore (e poi agricoltura di precisione e valorizzazione dello scarto)
Giuseppe Tringali, 29 anni, insieme alla fidanzata Francesca, rappresenta la nuova generazione alla guida dell’Azienda agricola biologica Leone di Noto (Sr) che, con una lunga storia alle spalle, oggi coltiva agrumi, ulivi, mandorli, carrubi e varietà antiche di grano. “Ho una formazione nel settore informatico, ma da quando, cinque anni fa, ho partecipato alla prima raccolta di mandorle, non ho più lasciato la campagna”, racconta. Una volta entrato a lavorare in azienda Giuseppe si è subito reso conto di un problema: “Sulle arance, ad esempio, eravamo costretti ad accettare un prezzo di vendita con cui a malapena riuscivamo a coprire le spese perché non avevamo un’alternativa per mettere sul mercato i nostri prodotti”. Un’alternativa invece, a un certo punto, si è presentata con Biorfarm: “Se prima le mie arance venivano acquistate a 35 centesimi al chilo, con Biorfarm riesco a proporle direttamente al consumatore a 1 euro+Iva al chilo riuscendo a dare un equo compenso alla manodopera che si occupa della raccolta e del confezionamento e ottenendo un po’ di guadagno in più per l’azienda”. Giuseppe ha le idee chiare: “Il giusto compenso deve essere giusto per tutti: al consumatore deve essere garantita la qualità del prodotto. Per Biorfarm raccogliamo le arance ad aprile quando sono al giusto grado di maturazione e belle zuccherine”. Durante il primo anno, il 2019, l’azienda agricola Leone ha venduto su Biorfarm 5mila kg di arance, nel secondo 10mila, per il 2021 si prevedono 15mila chili: “La vecchia generazione dell’azienda era scettica quando abbiamo proposto l’adesione a Biorfarm, ma poi i numeri ci hanno dato ragione. È un progetto sostenibile.”
Per Giuseppe, accanto alla scelta della filiera corta, si possono percorrere altre strade per garantire l’equo compenso agli agricoltori: “Si deve investire quando possibile nell’agricoltura di precisione per meccanizzare certe operazioni, ad esempio. E poi si può aprire una riflessione su cosa sia lo scarto: all’inizio degli anni ’80 i limoni in Sicilia venivano pagati solo10 centesimi al chilo togliendo 5 centesimi sugli agrumi fuori calibro o macchiati. I produttori, allora, preferivano schiacciarli invece che venderli e perderci. Oggi, ancora, si considera scarto il prodotto che non rispetta le dimensioni standard o quello con qualche macchia sulla buccia ma, soprattutto nell’agricoltura biologica, si tratta di frutta e verdura buona che non ha senso scartare”. Lo scarto vero, invece, può essere riutilizzato in un’ottica di economia circolare: “Abbiamo in progetto un laboratorio per la trasformazione della materia prima in succhi e marmellate e poi, chissà, magari in una linea di cosmetici”.
Il giusto compenso che favorisce la biodiversità (e viceversa)
Giovanni Zappavigna, 42 anni, impegnato nel settore dello sviluppo di software, nel 2007 si è trovato a gestire all’improvviso l’impresa di famiglia, l’Azienda agricola biologica Arangara di Ardore (Rc), i cui ettari ospitano soprattutto agrumeti e uliveti coltivati in biologico. “La passione che mi aveva trasmesso mio padre era tanta, ma anche le difficoltà. Una su tutte il prezzo a cui i riuscivo a vendere i miei prodotti e che rendevano l’attività poco redditizia. Non potevo contrattare, mi dovevo adattare, senza contare la concorrenza delle varietà che arrivavano dall’estero a prezzi che io non riuscivo a garantire nemmeno togliendo il mio guadagno”. La prima scelta che Giovanni ha fatto è stata allora quella di puntare sulla biodiversità: “Con l’aiuto di un agronomo ho recuperato varietà autoctone del mio territorio, una zona molto particolare dove le fiumare, originate dalle piogge intense e circoscritte nel tempo, hanno dato vita a vallate separate tra di loro, ciascuna con la propria biodiversità pur essendo a pochi chilometri di distanza”. L’azienda ha iniziato a coltivare agrumi come l’arancia bionda, dolcissima, il bergamotto, il limone di zagara bianca, il mandarino comune, molto dolce e ricco di semi, l’oliva minuta, piccola e con una bassa resa in olio, ma in grado di dar vita a un prodotto molto raffinato.
Il secondo tentativo di Giovanni è stato quello di accorciare la filiera, tentativo riuscito grazie a Biorfarm: “Con Biorfarm sono riuscito a ottenere una giusta remunerazione per il mio lavoro. Prima, i limoni che vendevo a 35-45 centesimi al chilo finivano sul mercato a 2-4 euro al chilo a seconda della stagione; ora con Biorfarm posso proporli direttamente al consumatore a 90 centesimi-1 euro al chilo”.
“Certo io devo essere in grado di proporre un prodotto diverso da quello che si può trovare al supermercato – continua Giovanni- e devo portare un valore aggiunto anche quando competo con prodotti di filiera corta e biologica che costano meno per motivi di produzione. Penso alla differenza tra gli ulivi in Puglia, che sono in pianura e consentono una raccolta meccanizzata, e quelli del mio territorio che richiedono una raccolta a mano e che non hanno le stesse rese. In questo senso, Biorfarm mi permette anche di raccontare la storia che c’è dietro al mio prodotto, di far capire perché ha un determinato prezzo, di spiegare che non esiste solo il limone giallo, ma che d’estate si può consumare quello verde, fresco, italiano, biologico che si può preferire magari a quello estero con la buccia gialla lucida perché trattata”. Anche Giovanni, infine, nella sua azienda ha trasformato lo scarto da costo a fonte di reddito, utilizzandolo come fertilizzante oppure ricavandone dei principi attivi che utilizza per la produzione di una linea di cosmetici di lusso.
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