Il 30 settembre, la Ratcliffe-on-Soar, la 18esima centrale più inquinante d’Europa, ha smesso di bruciare carbone. D’ora in poi produrrà idrogeno verde.
Le guerre per il petrolio non sono più ammissibili, neanche dopo l’attacco in Oman
Gli attacchi alle petroliere nel golfo di Oman sono un segnale di come i combustibili fossili siano ancora un elemento negativo negli equilibri geopolitici internazionali. Un equilibrio che si può spezzare grazie alle rinnovabili.
Lo scorso 13 giugno due petroliere, una battente bandiera norvegese e l’altra battente bandiera giapponese, sono state colpite mentre navigavano piene di petrolio nel golfo di Oman, nei pressi dello stretto di Hormuz, utilizzato per trasportare un terzo del greggio del mondo via mare. Gli Stati Uniti hanno accusato l’Iran degli attacchi, mentre l’Iran ha negato le accuse.
An oil #tanker is seen after it was attacked at the Gulf of #Oman. (ISNA) https://t.co/q2p0I82eGR pic.twitter.com/l4pqMHQYv4
— POW photos (@pow_photos) 28 giugno 2019
Non è la prima volta
Esiste un precedente a questa situazione, il 12 maggio scorso sono state attaccate quattro petroliere ancorate al largo di Fujairah negli Emirati Arabi Uniti. Secondo gli Stati Uniti, l’Iran è dietro anche a questo attacco, da sempre rivale degli Emirati e dell’Arabia Saudita. Ad aprile l’Iran aveva annunciato che se gli Stati Uniti avessero bloccato le esportazioni iraniane avrebbe interrotto il passaggio delle petroliere nello stretto di Hormuz.
Aumenta la domanda di sicurezza nel golfo di Oman
Dopo gli attacchi alle petroliere nel golfo di Oman la domanda di sicurezza privata da parte delle compagnie di trasporto marittimo è aumentata del 12-17 per cento per la protezione dei loro equipaggi e delle navi.
Il golfo Persico non è considerato una zona ad alto rischio, a differenza di altre zone dell’oceano Indiano dove è previsto l’intervento armato per garantire la sicurezza. “La preoccupazione degli operatori riguarda le navi che transitano nel golfo Persico dove non è possibile operare con le armi perché non c’è un mandato per una risposta armata”, spiega Dimitris Maniatis, responsabile commerciale di Diaplous, una delle più grandi società private di sicurezza marittima, in un’intervista alla testata tedesca DW.
“Non crediamo che gli attacchi del 13 giugno siano stati eseguiti con armi come missili, siluri o qualcosa del genere. Noi crediamo che nella notte, con l’oscurità, qualcuno con una piccola imbarcazione si sia avvicinato alla nave dal dietro e sia riuscito ad attaccare un ordigno esplosivo sullo scafo della nave”, ha concluso Dimitris Maniatis.
L’arma dei combustibili fossili
Il golfo di Oman, attraverso lo Stretto di Hormuz lungo 21 miglia, porta nel golfo Persico, e circa un terzo delle riserve mondiali di greggio e quasi un quinto del suo gas naturale passa attraverso le sue acque. È evidente che le esplosioni, che gli Stati Uniti hanno definito attacchi deliberati da parte dell’Iran, potrebbero essere state una tacita minaccia per chiudere una delle principali “autostrade” dell’economia globale.
Secondo quanto scrive il quotidiano New York Times nessuna delle due navi, entrambe dirette in Asia, aveva legami con gli Stati Uniti. Ma fin dalla Seconda guerra mondiale, Washington si è impegnata a garantire la sicurezza delle esportazioni di petrolio dal Golfo Persico. Dalla prima guerra del Golfo del 1990, gli Stati Uniti hanno rafforzato questo impegno con una forte presenza militare nella zona. Un tentativo di chiudere lo stretto di Hormuz o comunque mettere in pericolo il flusso di petrolio sarebbe una seria minaccia per gli interessi americani, anche se nessuna nave americana fosse coinvolta.
Israeli Submarines Suspected of Sabotaging Shipping in Gulf of Oman. In Case of Conflict, Oil Prices could Double Overnight https://t.co/MBFd1Twd6g #israel #submarine #oman #iran pic.twitter.com/UONO3tgKXp
— Global Research (@CRG_CRM) 15 giugno 2019
I timori di una guerra contro l’Iran
Il timore di una guerra o di operazioni militari su vasta scala contro l’Iran influenzerebbero in modo determinante il commercio nella regione con ripercussioni globali. La Heidmar, la più grande azienda di petroliere al mondo, ad esempio, dopo il 13 giugno ha vietato alle sue navi di entrare nel golfo Persico senza che prima ci fosse un’ulteriore valutazione sulla sicurezza dell’area. Le società colpite dagli incidenti del 12 maggio 2019 hanno sospeso le operazioni di rifornimento di carburante per le navi da Fujairah negli Emirati Arabi che, insieme a Singapore, è tra le più importanti stazioni di rifornimento di carburante per le navi a livello mondiale.
Il passaggio alle rinnovabili riduce le cause di conflitti
L’incidente delle petroliere del 13 giugno è un’ulteriore evidenza di quanto i combustibili fossili siano spesso al centro di conflitti perché considerati nevralgici negli equilibri e nei giochi di potere internazionali. La transizione energetica globale e il passaggio dai combustibili fossili alle energie rinnovabili potrebbero ridurre i conflitti legati all’energia, secondo un rapporto, pubblicato dalla Commissione globale sulla geopolitica. La transizione “contribuirà a ridisegnare la mappa geopolitica del Ventunesimo secolo”, si legge nel rapporto, poiché la fornitura di energia non sarà più il dominio di un piccolo numero di Stati. Il potere politico diventerà più decentralizzato e diffuso e la maggior parte dei paesi può aspettarsi un approvvigionamento energetico significativamente più indipendente.
Nel rapporto si legge che il petrolio e il gas perderanno parte della loro importanza geostrategica come strumenti di politica estera e svolgeranno anche un ruolo minore come fattore aggravante nei conflitti armati regionali e locali. I paesi esportatori di combustibili fossili potrebbero dover affrontare periodi di instabilità se non si reinventano per una nuova era energetica.
In questa situazione diventa chiaro quanto sia difficile attuare la transizione energetica, non per mancanza di tecnologie, ma per equilibri economico-politici internazionali, spesso influenzati dalla lobby fossili.
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