Per salvarsi il posto come primo ministro australiano, Malcolm Turnbull rinuncia al piano per la riduzione delle emissioni mentre gli aborigeni combattono contro una delle miniere di carbone più grandi al mondo.
L’Australia, che spesso associamo ad ambita meta turistica per i suoi paesaggi incontaminati, è nei fatti un paese fortemente influenzato dalle lobby dei combustibili fossili. Ne sanno qualcosa gli aborigeniWangan e Jagalingou che abitano le pianure del Queensland centrale e stanno combattendo una dura lotta per non vedere realizzata una miniera di carbone, quella del colosso indiano Adani, che mette in serio pericolo la loro stessa esistenza. Ne sa qualcosa anche il primo ministro Malcolm Turnbull, che si è dovuto arrendere ai membri conservatori del suo partito per non perdere il suo posto come leader, costringendolo a ritirare il programma energetico per la riduzione delle emissioni di carbonio attraverso l’adozione di fonti rinnovabili e per la lotta ai cambiamenti climatici. La tutela dell’ambiente e di culture millenarie è un tema su cui tutti concordiamo ma abbandonare vecchie tecnologie energetiche e aprirsi al nuovo incontra molto spesso resistenze enormi.
La miniera di carbone tra le più grandi al mondo è un’enorme minaccia per l’Australia
La Adani Mining Pty Ltd, un colosso minerario indiano fondato dal miliardario Gautam Adani, ha presentato un progetto per un’enorme miniera di carbone a Carmichael, sulle terre ancestrali dei Wangan e Jagalingou. Se la costruzione andrà a termine, la miniera di carbone Carmichael sarebbe tra le più grandi al mondo (40 chilometri di lunghezza e 10 di larghezza), con sei cave a cielo aperto e cinque miniere sotterranee, corredata di tutte le infrastrutture necessarie come linee ferroviarie, discariche di rifiuti e una pista di atterraggio. La durata del progetto è stimata in circa 90 anni: il carbone estratto ammonterebbe a fine ciclo a 2,3 miliardi circa di tonnellate mentre le emissioni di CO2 correlate sarebbero di 4,7 miliardi di tonnellate.
Un “mostro’”minerario che potrebbe creare danni irreparabili alla Grande barriera corallina, già in situazione critica dopo gli eventi di sbiancamento dei coralli, e distruggere alcuni dei più importanti territori rimanenti per il fringuello nero, a rischio di estinzione, che ha già perso l’80 per cento del suo habitat.
Adani si occupa anche di energia pulita con la società Adani Green Energy Ltd artefice, in India, della costruzione della più grande centrale elettrica solare del mondo, ma le sue attività carbonifere sono da tempo molto contestate.
Contro il carbone i popoli aborigeni di rivolgono all’Onu
Nonostante i diritti dei Wangan e Jagalingou sulle terre, il governo australiano e quello del Queensland hanno dato il loro benestare al progetto, usando il potere coercitivo della legislazione australiana che consente alle compagnie private e al governo di scavalcare i diritti delle popolazioni locali nelle loro terre ancestrali. Contro una classe politica sorda e più propensa a fare affari con una tecnologia, quella del carbone, ormai vetusta e superata dalle nuove tecnologie rinnovabili anche in termini di costi e non solo di impatto ambientale, i rappresentanti di Wangan e Jagalingou si sono rivolti al comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale, sotto l’Alto commissariato Onu per i diritti umani.
Le terre e le acque di queste popolazioni incarnano la loro cultura e sono la fonte vivente dei loro costumi, leggi e credenze spirituali. Con la miniera scomparirebbero i luoghi sacri, totem, piante e animali, simboli di una cultura che è riuscita ad arrivare fino a noi nonostante i tanti soprusi di cui è stata oggetto. I Wangan e i Jagalingou vogliono che l’Australia non usi la discriminazione razziale per assicurare un interesse privato ma protegga i più elementari diritti umani, compresi quelli delle popolazioni indigene alla cultura e alla terra.
Il governo australiano abbandona la lotta ai cambiamenti climatici
Un passo indietro per abbracciare il passato è anche quello che ha fatto Turnbull, che si è arreso alle punte più conservatrici del suo partito. In ballo la politica energetica, il piano National energy guarantee, che introduceva un obiettivo di riduzione delle emissioni di carbonio nel settore energetico del 26 per cento entro il 2030. Un passo che avrebbe aiutato l’Australia a rispettare gli obblighi previsti dall’Accordo di Parigi sul clim. Minacciato dal crollo del suo governo, il primo ministro ha preferito alzare bandiera bianca e abbandonare il piano per la riduzione delle emissioni.
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