
Con Sergio Savaresi del Politecnico di Milano ripercorriamo sviluppi e futuro dell’auto autonoma, un viaggio che conduce dritto nel prossimo decennio.
Facilitare la vita quotidiana, aumentare la sicurezza e creare nuove opportunità di business. Come l’auto connessa rivoluzionerà la mobilità.
L’intera industria dell’auto è concentrata sull’argomento: rendere l’auto sempre più connessa con la realtà circostante. Con l’attuale generazione di Audi A8, presentata nell’autunno del 2017, il Gruppo Volkswagen ha scritto una piccola quanto importante pagina di storia dell’automotive: ha portato su strada, per la prima volta al mondo, la guida assistita di livello 3, come vedremo più avanti il livello più evoluto oggi disponibile. Un primato non da poco, che certifica l’importanza che rivestono la ricerca e le nuove tecnologie (auto connesse) all’interno del colosso tedesco. Auto connesse, appunto. Ma cosa si intende con questa definizione?
Una volta (e molto spesso ancora adesso), l’automobile era un dispositivo meccanico relativamente semplice, caratterizzato da quattro aspetti fondamentali: capacità di trasportare 4/5 persone (nella maggior parte dei casi), alimentazione mediante carburanti fossili, proprietà individuale e responsabilità della guida affidata alle persone. Ma lo scenario futuro è già scritto: fra 20 o 30 anni, i veicoli conosceranno una diminuzione nelle dimensioni, saranno quasi esclusivamente elettrici, avranno una proprietà condivisa e la guida autonoma.
Già da qualche tempo, però, è in corso una trasformazione importante: i veicoli sono diventati connessi. Si può per esempio prenotare il ristorante dall’auto o impostare la temperatura interna prima ancora di salire. Ancora, le auto connesse offrono dispositivi di assistenza alla guida che permettono di evitare un incidente o di ridurne le conseguenze, sono dotati di scatola nera per comunicare i dati di eventuali sinistri o di una Sim integrata. Oppure, più banalmente, si possono connettere ai dispositivi esterni, come gli smartphone, mediante il Bluetooth.
La tematica della trasformazione dell’auto è stata trattata nello studio “Connected Car & Mobility: un nuovo inizio”, realizzato dall’Osservatorio smart & connected cars, il quale a sua volta è stato promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano. Il focus di questo studio, com’è facile immaginare, è stato posto sul lato economico. Bene: nel 2019, la quota di mercato delle cosiddette connected car è aumentato del 14 per cento (per un totale di 16,7 milioni di veicoli, ossia il 42 per cento del parco circolante), pari a un valore di 1,2 miliardi di euro. Uno degli aspetti più interessanti delle auto connesse, dal punto di vista del business, è che offrono margini di profitto dove prima non c’erano: non a caso si parla sempre di più di servizi di sharing o di pay per use, con il costo del canone mensile di noleggio del veicolo che varia a seconda dell’effettivo utilizzo e della fruizione dei servizi accessori.
Prima ancora del pagamento (automatico, tramite il profilo “depositato” sul cloud) dei servizi, ci vuole una piattaforma che permetta il funzionamento di tutto ciò. E qui si nasconde un’altra opportunità di business: la componentistica elettronica di bordo – sia a livello qualitativo che quantitativo – porta sempre più le Case automobilistiche, incluso il Gruppo Volkswagen, a stringere partnership strategiche e acquisire start-up.
Torniamo ora all’aspetto da cui siamo partiti, quello della guida assistita. Una tecnologia complessa, che si può suddividere in 6 livelli. Prima di proseguire, però, è doveroso specificare un aspetto fondamentale: a stabilire i livelli di assistenza alla guida di un’auto – da 0 a 5 – è la Sae, ovvero l’associazione globale di cui fanno parte quasi 130mila ingegneri e tecnici che si occupano di tecnologia automobilistica e aerospaziale.
Per sostenere un livello di complessità come quello imposto dal livello 5 è imprescindibile uno sviluppo che interessi anche l’infrastruttura: strade, incroci, semafori, parcheggi. Nel dettaglio, ci dev’essere comunicazione tra le singole auto e l’ambiente circostante, il cosiddetto V2X.
Le tecnologie attualmente disponibili si basano sullo standard Etsi Its-G5 (che utilizza i servizi Wi-Fi) e sulla tecnologia cellulare C-V2X (attualmente basata sulle reti 4G ma in evoluzione verso il 5G). Le prestazioni attuali, però, non bastano per abilitare servizi come, appunto, quelli necessari per far funzionare la guida autonoma.
Quanto descritto fino ad ora può sembrare ancora molto lontano dalla realtà. L’Anas, l’Azienda nazionale autonoma delle strade, “intende rendere 3mila chilometri di strade italiane in smart road, per permettere ai veicoli che le percorrono di dialogare tra loro e con le infrastrutture. Già a fine 2019, il 36 per cento dei comuni italiani con oltre 25mila abitanti aveva avviato almeno un progetto di smart mobility nei tre anni precedenti, mentre un altro 39 per cento lo aveva già fatto prima del 2017. Se invece si considerano i comuni con più di 80mila abitanti, solo il 9 per cento non ha ancora avviato progetti affini.
Tutte le risorse impegnate per sviluppare le tecnologie raccontate fino a qui, oltre a rappresentare degli investimenti in termini di business, sono la premessa per una mobilità sempre più sostenibile e sicura, che consideri sempre più gli aspetti ambientali con sistemi capaci di offrire nuovi servizi alle persone e una più elevata sicurezza stradale. Non ci resta che attendere, in pochi anni vedremo come l’auto connessa trasformerà abitudini e città.
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