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Donald Trump ha promesso di ridare slancio al carbone, ma ormai le centrali sono vecchie e antieconomiche. E non possono fare altro che chiudere.
“Faremo tornare al lavoro le nostre miniere. Abbiamo già eliminato le devastanti regolamentazioni contro il carbone, ma questo è solo l’inizio. La mia amministrazione ha messo fine alla guerra al carbone”. Queste le parole del presidente americano Donald Trump. Guardando i numeri, però, emerge una realtà ben diversa. Una realtà in cui le centrali a carbone americane chiudono i battenti, una dopo l’altra.
Lo studio pubblicato dall’Institute for energy economics and financial analysis (Ieefa) parla chiaro. Quest’anno gli Usa sono sulla buona strada per chiudere una serie di centrali a carbone con una capacità complessiva di 15,4 gigawatt. Un record assoluto (quello precedente era pari a 14,7 gigawatt). E i prossimi anni non saranno da meno, a giudicare dalle pianificazioni delle aziende e dalle notizie riportate dalla stampa. Al momento, l’industria del carbone a stelle e strisce si attesta su una capacità complessiva di 246 gigawatt, ma tra l’inizio del 2018 e la fine del 2024 ne “perderà” circa 36,7. Cioè il 15 per cento del totale.
Secondo le dichiarazioni rilasciate a Green Tech Media dall’autore del report, Seth Feaster, questa stima è fin troppo prudente. Ci sono tante altre centrali che ufficialmente sono operative ma vanno avanti a marcia ridotta, o iniziano a essere sottoposte a revisioni che preludono a uno stop definitivo.
Il carbone è il nodo centrale di Affordable clean energy, il nuovo piano lanciato da Donald Trump per spazzare via il Clean power plan del suo predecessore Barack Obama (che in realtà era stato già bloccato dalla Corte Suprema nel 2016). In effetti, sarebbe stato difficile immaginare una legislazione più generosa nei confronti di una fonte di energia così inquinante: secondo il provvedimento, ogni Stato potrà regolamentare in autonomia i target di emissione delle centrali.
Secondo l’istituto Ieefa, certamente questa rivoluzione normativa avrà un impatto sulle chiusure delle centrali. Ma sarà un impatto relativo. Perché, se le centrali vengono chiuse, è soprattutto per altri motivi. Il primo è che non sono più convenienti da un punto di vista puramente economico. Il secondo è che sono vecchie, perché sono state costruite per la maggior parte prima degli anni Ottanta.
Secondo l’Eia (Energy Information Administration), che fornisce le statistiche ufficiali del governo statunitense, nel 2014 il carbone rappresentava il 39 per cento del mix energetico statunitense. Nel 2019, cioè nell’arco di soli cinque anni, sarà sceso al 27 per cento. Un declino inevitabile, nonostante Donald Trump si affanni nel vano tentativo di arginarlo.
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