Dopo il sì della Corte costituzionale, anche in Colombia può entrare in vigore l’accordo di Escazú per la tutela degli attivisti ambientali.
Fermato definitivamente il commercio di prodotti di foca in Europa
Dopo un lungo contenzioso è stato rafforzato il bando dell’Ue sul commercio comunitario dei prodotti derivati dalle foche.
In Europa è stato vietato il commercio di prodotti di foca, sia quelli derivanti dalla caccia commerciale che dalla (eufemistica) caccia di gestione, effettuata per il contenimento delle popolazioni di foche.
Lo spettacolo di una foca abbattuta a colpi di mazza o di arpione è terribile, esacerbato forse dal candore dell’ambiente circostante, lordato dal sangue degli animali abbattuti. Una legge in tal senso esisteva già, dal 2010 infatti è vietato introdurre prodotti di foca nei paesi dell’Unione europea.
La norma però è stata negli ultimi cinque anni oggetto di numerosi ricorsi da parte dell’industria della pellicceria, presso la Corte di giustizia Ue prima e l’Organizzazione mondiale del commercio poi. Il Parlamento europeo ha dunque effettuato una nuova votazione, in seduta plenaria, che ha sancito definitivamente il divieto.
“Si tratta di un risultato storico veramente importante per il quale la Lav, insieme ad un network internazionale di decine di organizzazioni impegnate da anni nel salvare le foche, è stata sempre in prima linea”, ha commentato Simone Pavesi, Responsabile Lav della Campagna pellicce.
L’unica deroga alla legge riguarda gli Inuit, i nativi delle coste artiche, e consente alle popolazioni indigene di introdurre nel mercato europeo prodotti di foca a scopo commerciale, purché rispettino certe condizioni. La caccia, ad esempio, deve contribuire al sostentamento della comunità e non deve essere effettuata principalmente per finalità commerciali.
“Ora la Commissione europea dovrà assicurare uno scrupoloso monitoraggio della filiera Inuit – ha precisato Pavesi – per evitare che il divieto generale di importazione e commercio venga strumentalizzato con l’apposizione di presunte certificazioni della sussistenza delle popolazioni indigene a copertura del business dell’industria della pellicceria”.
L’associazione animalista si augura infine che il nuovo divieto possa indurre alcuni governi, come quello canadese, a tagliare le sovvenzioni alla caccia e a valorizzare con maggior convinzione gli aspetti naturalistici e faunistici locali.
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