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Per i suoi insuccessi nella tutela dell’Amazzonia, il governo brasiliano dovrà fare a meno di 65 milioni di euro di aiuti internazionali.
In questi mesi, la deforestazione in Amazzonia procede a ritmi sempre più allarmanti. La superficie andata distrutta a luglio è pari a 1.345 chilometri quadrati, il doppio dell’area della città di Tokyo, con un aumento del 278 per cento in un anno. Mentre il governo guidato dall’ex-militare di estrema destra Jair Bolsonaro contesta i sistemi di rilevazione satellitare e licenzia i vertici dell’agenzia nazionale per l’ambiente (Ibama), c’è chi dice basta. A parole, ma anche e soprattutto con il portafogli. Germania e Norvegia, infatti, chiudono i rubinetti e smettono di sostenere le campagne di tutela condotte dal governo di Brasilia, ritenendole ormai deboli e inefficaci.
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Il 10 agosto, la ministra dell’Ambiente tedesca Svenja Schulze ha svelato al quotidiano Tagesspiegel di aver intenzione di tagliare 35 milioni di euro di finanziamenti al Brasile, perché “la linea politica adottata dal governo in Amazzonia solleva dubbi sul fatto che si persegua ancora una costante riduzione dei tassi di deforestazione”.
La replica di Jair Bolsonaro non si è fatta attendere: “Possono usare i loro soldi come meglio credono, il Brasile non ne ha bisogno”. Secondo gli esperti contattati dalla testata specializzata Mongabay, tuttavia, le parole spavalde del presidente corrispondono solo in parte al vero. Da decenni, infatti, i fondi internazionali rendono possibili numerosi progetti ambientali, legati non solo all’Amazzonia ma anche a Mata Atlântica, alla savana tropicale del Cerrado e ai popoli indigeni.
I tagli annunciati dalla ministra tedesca non hanno nulla a che fare con il fondo per l’Amazzonia, un programma internazionale di cui la stessa Germania è uno dei protagonisti, insieme alla Norvegia. La cifra elargita ogni anno si aggira sugli 87 milioni di dollari.
Nemmeno questo organismo però è stato al riparo dagli strali del nuovo esecutivo di Brasilia. A maggio il ministro dell’Ambiente Ricardo Salles ha annunciato una revisione unilaterale del suo sistema amministrativo, a causa di presunte irregolarità – mai documentate – da parte delle ong. Le nazioni europee hanno subito contestato il fatto di non essere state nemmeno consultate su come verranno spesi in futuro i loro soldi. Nel frattempo è stato destituito il comitato per la selezione dei progetti, senza però proporne formalmente uno nuovo.
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Di fronte a questo tracollo, anche la Norvegia ha tagliato i ponti. Prima ha espresso la sua preoccupazione, poi – sulla scia della Germania – è passata ai fatti. Il suo contributo al fondo per l’Amazzonia è proporzionale ai risultati raggiunti nella lotta alla deforestazione, e per il 2018 dovrebbe ammontare a circa 300 milioni di corone, cioè 30 milioni di euro. Ma questo pagamento resterà congelato. Ad annunciarlo all’agenzia Reuters, il ministro per l’Ambiente e il clima Ola Elvestuen.
Now Norway has frozen financial support for the Amazon Fund because of deforestation rates; is the EU/Brazil trade deal at risk? Our @karlamendes reports ~ https://t.co/dxOZjgiSpV pic.twitter.com/o69t1IqKjU
— Mongabay (@mongabay) August 16, 2019
Anche in questo caso, Bolsonaro ha reagito con l’atteggiamento aggressivo che lo contraddistingue: “La Norvegia non è quel paese che ammazza le balene al Polo Nord?”, ha detto ai giornalisti. “Prendano quei soldi e diano una mano ad Angela Mekel a riforestare la Germania”. La batosta, però, è pesante. Il governo del paese nordico fino ad oggi è stato in testa alla classifica dei finanziatori, donando complessivamente più di un miliardo di euro. È lecito attendersi che anche questo fondo finisca per essere pressoché svuotato.
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