Dal 2012 la ong Global Witness tiene traccia degli omicidi di ambientalisti nel mondo, ma non aveva mai accertato un bilancio tragico come quello del 2020.
Scendere in piazza, fare informazione dal basso, battersi contro le trivelle e le miniere; ci sono tanti modi per difendere l’ambiente, e tante persone di ogni età disposte a mettersi alla prova. Persone che, soprattutto in alcuni contesti difficili, si espongono così al rischio di minacce, intimidazioni, arresti sommari, abusi sessuali. O addirittura al rischio di essere uccise. L’organizzazione non governativa Global Witness ha pubblicato la nuova edizione del suo report annuale e – ancora una volta – segnala un tragico primato. Nel 2020 sono stati accertati 227 omicidi di ambientalisti, per una media di oltre quattro alla settimana. Due pagine fitte di nomi, dove per giunta mancano tutti quegli episodi che non sono mai stati documentati né indagati a dovere.
Preoccupa la situazione degli ambientalisti in Colombia e Messico
Già nel 2019 la Colombia saltava all’occhio per un impressionante bilancio di 64 ambientalisti assassinati su un totale globale di 212. Un drammatico record mantenuto anche quest’anno con 65 vittime, soprattutto tra gli indigeni, le persone di origine africana e i piccoli agricoltori. In un clima di tensione politica che nemmeno il trattato di pace del 2016 è riuscito a placare, la pandemia ha peggiorato le cose perché ha costretto gli attivisti tra le quattro mura delle loro case. Rendendoli, così, bersagli più facili.
In 2020, #Colombia once again saw the highest number of lethal attacks against defenders, with violence increasing from an already alarming level last year.
Il Messico vede invece un netto peggioramento, con 30 attentati mortali nel 2020 (nel 2019 erano 18), di cui soltanto uno ha portato a un processo penale. Fa ben sperare la firma dell’Accordo di Escazú, rivelatasi decisiva per portare alla sua definitiva entrata in vigore il 22 aprile 2021, Giornata della Terra. Il trattato fornisce garanzie in più a cittadini, persone e organizzazioni che difendono l’ambiente e i diritti umani, avviando misure specifiche per evitare attacchi e intimidazioni nei loro confronti, indagare su tali episodi e punire i colpevoli. Il suo raggio d’azione riguarda proprio l’America Latina, ma rischia di essere indebolito dall’assenza di Colombia e Brasile.
Filippine, il controverso bilancio della presidenza di Duterte
Era il mese di maggio 2016 quando le elezioni presidenziali nelle Filippine venivano vinte da Rodrigo Duterte, soprannominato “il castigatore” per la linea dura adottata nei confronti di trafficanti e consumatori di droga. Da allora, ricorda Global Witness, la comunità internazionale ha sollevato l’attenzione a più riprese sulla precaria situazione dei diritti umani. Dall’inizio del mandato di Duterte fino alla fine del 2020 sono stati uccisi ben 166 ambientalisti, di cui 29 solo nel corso dell’ultimo anno. Un’escalation definita “scioccante”.
L’appello di Global Witness ai governi
Storie e numeri del genere non possono semplicemente passare sotto silenzio. I governi – tuona Global Witness – non si stanno mostrando all’altezza del loro dovere di tutelare i diritti umani, non stanno facendo abbastanza per proteggere gli ambientalisti o, nei casi più gravi, sono addirittura complici o attori delle violenze. Le misure di lockdown imposte a seguito della pandemia hanno ulteriormente ristretto le libertà personale; ed è proprio dove manca questa libertà che gli attentati diventano più frequenti.
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