I lavori del ponte sullo stretto di Messina dovrebbero iniziare a dicembre 2024 e concludersi nel 2032. Ma i cittadini si ribellano.
Le acque incontaminate dell’Australia sono salve: niente trivellazioni nella Grande baia australiana
Il gigante petrolifero Equinor ha ritirato il progetto per trivellare la Grande baia australiana, una delle aree marine più selvagge dell’Australia. Vittoria per le comunità di attivisti e surfisti che però chiedono che venga protetta per sempre.
Possono tirare un respiro di sollievo gli attivisti, i surfisti, le comunità locali e la grande varietà di specie che abitano uno dei luoghi più incontaminati del mondo, che potrà per fortuna rimanere tale. La Grande baia australiana (Great Australian Bight), un’immensa e selvaggia area marina che praticamente occupa tutta la costa meridionale del paese per migliaia di chilometri, non sarà infatti invasa dalle trivellazioni che il gigante petrolifero Equinor stava progettando nella zona.
La vittoria contro le trivelle nella Grande baia australiana
Esattamente un anno fa la compagnia petrolifera norvegese aveva pubblicato la bozza del progetto, includendo il piano ambientale e lasciandolo aperto ai commenti del pubblico prima di essere mandato al vaglio delle autorità del governo australiano. Il progetto mostrava che, in caso di una fuoriuscita di petrolio, la quasi totalità della baia sarebbe potuta essere invasa da una marea nera. Da lì, è iniziata una mobilitazione globale che ha visto attivisti, surfisti e amanti del mare – il movimento chiamato Fight for the Bight – prendere il largo per cercare di fermare il piano. Eppure, lo scorso dicembre il governo australiano – dopo aver esaminato il progetto – lo aveva approvato. La baia e la sua natura incontaminata sembrava condannata alla sete di petrolio.
Leggi anche: Surfisti e attivisti stanno lottando per tenere il petrolio fuori da migliaia di chilometri di costa australiana
Poi, il passo indietro di Equinor. La compagnia petrolifera, infatti, ha comunicato la decisione di voler abbandonare i piani di trivellazioni nella baia. “Dopo una revisione olistica del nostro portfolio di esplorazioni petrolifere, siamo arrivati alla conclusione che il potenziale del progetto non è commercialmente competitivo se paragonato ad altre opportunità di esplorazioni”, ha infatti affermato il country manager dell’azienda, Jone Stangeland. Una motivazione, però, che sembra più legata ai ricavi economici che alle preoccupazioni del rischio di un eventuale disastro ecologico.
La sete di petrolio
In questo senso, con il suo progetto che valeva 200 milioni di dollari, Equinor non è la prima a ritirare dei piani di esplorazioni petrolifere dalla baia: prima di lei c’erano già stati i colossi BP (responsabile per il disastro della Deepwater Horizon) e Chevron. Inoltre, il governo australiano sembra volenteroso di trovare investimenti per sfruttare la ricchezza petrolifera della zona, definendo infatti la decisione di Equinor come “estremamente deludente” e sottolineando la necessità del paese di aumentare la propria sicurezza e indipendenza petrolifera. “Una volta eravamo autosufficienti ma ora dipendiamo dal petrolio importato”, ha twittato ad esempio il senatore Matthew Canavan. E, infine, il ministro delle Risorse australiane Keith Pitt ha affermato che il paese continuerà ad incoraggiare nuove proposte di trivellazioni nelle proprie acque.
Leggi anche: Petrolio in mare. La classifica degli incidenti petroliferi
Protezione permanente della natura incontaminata della baia
Ciononostante, la vittoria è stata accolta con grande entusiasmo dagli attivisti che si sono battuti per mesi facendo sentire la propria voce in ogni occasione e angolo del mondo, che però ancora riconoscono il pericolo di ritrovarsi nella stessa situazione in futuro. Proprio per questo chiedono alle autorità locali e al governo di attuare misure di protezione permanente di un luogo di inestimabile ricchezza naturale: dove gli scienziati affermano che l’85 per cento delle specie che vi abitano non si trova da nessun’altra parte sul Pianeta, dove le balene arrivano dall’Antartide per riprodursi e crescere i piccoli, e dove – come affermato dall’attivista di Greenpeace Jamie Hanson – ci sono più specie uniche che nella Grande barriera corallina.
Il petrolio deve rimanere fuori dalla baia, per scongiurare il rischio di futuri disastri ambientali e per far sì che gli attivisti non debbano più afferrare cartelli e tavole per protestare in mezzo al mare, ma solo per cavalcare le onde di questo incredibile incontaminato luogo che deve essere protetto una volta per tutte.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
L’Agenzia per la protezione dell’ambiente ha imposto di rimuovere quasi del tutto alcuni Pfas dall’acqua potabile negli Stati Uniti.
La Corte europea per i diritti dell’uomo dà ragione alle Anziane per il clima: l’inazione climatica della Svizzera viola i loro diritti umani.
Dopo i rilievi nell’acqua potabile del Veneto e della Lombardia, sono state trovate tracce di Pfas nei delfini, tartarughe e squali spiaggiati sulle coste della Toscana.
Un nuovo rapporto di Wri e università del Maryland fa il punto sulla deforestazione. Miglioramenti in Brasile e Colombia, ma passi indietro altrove.
Sabato 6 aprile, il settimanale porta in edicola e online le tematiche del “vivere verde”. Con un’intervista a Simona Roveda.
A distanza di un mese dall’annuncio dello Zambia, anche il Malawi ha dichiarato lo stato di calamità a causa della siccità prolungata da El Niño.
La legge europea sul ripristino della natura, la Nature restoration law, è in stallo. Prima del voto finale del Consiglio, alcuni paesi hanno ritirato il loro appoggio.
Australia e Tuvalu confermano l’intenzione di adottare il primo trattato al mondo che concede asilo climatico. Ma c’è ancora un ostacolo da superare.