
Da secoli, il frutto dell’ume viene coltivato a Minabe e Tanabe in armonia con i boschi cedui e gli insetti impollinatori: un metodo riconosciuto dalla Fao.
Le erbe selvatiche commestibili crescono nei prati, ai bordi degli orti e dei sentieri: sono piante spontanee, ricche di sapore e sostanze attive. Impariamo a riconoscerle e a metterle in tavola.
Versatili e gustose, le erbe di campo rientrano tra i cibi antinfiammatori e possiedono virtù depurative e stimolanti per l’organismo. I nostri antenati lo sapevano bene e le utilizzavano molto, noi invece abbiamo perso quasi del tutto questa conoscenza. Forse perché siamo abituati a nutrirci con monotonia: oggigiorno una trentina di piante copre il 95 per cento del fabbisogno nutritivo mondiale. Consumare le piante spontanee è importante perché aumenta la gamma di sostanze nutritive e benefiche assunte con gli alimenti e ci permette di riscoprire vecchi sapori, sorprendentemente gustosi: i sapori della natura non addomesticata.
Ricca di aminoacidi, proteine, sali minerali e vitamine, è una miniera di sostanze benefiche. Si cucina come gli spinaci e va trattata assolutamente coi guanti.
Cresce nei luoghi umidi ma assolati. Le sue foglie tenere, succose e carnose sono il gustoso complemento di insalate crude o cotte. E’ una buona fonte di vitamina C, rinfrescante, depurativa e tiene sotto controllo il colesterolo.
Dalle foglie costellate di macchie bianche, ottime nelle minestre. Il succo fresco delle sue foglie contiene una certa quantità di vitamine A e C. Si raccoglie prima che compaiano i fiori.
Le foglie giovani, crude o cotte, depurano, forniscono vitamine, proteggono il fegato e rendono luminosa la pelle. I boccioli dei fiori si mettono sott’aceto come i capperi.
Dai profumati fiori violetto porpora. Raccolti appena sbocciati, recidendoli senza il picciolo, si mescolano alle insalate o si usano per preparare sfiziosi gelati. Si possono anche seccare al buio in luogo ventilato e caldo e conservare in recipienti di vetro al riparo dalla luce.
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