
Lo rivela uno studio che ha analizzato il consumo di cibi ultra-trasformati e lo stato di salute di 450mila europei.
Al via la campagna Slow Food per promuovere un consumo più sostenibile di carne, contro gli allevamenti intensivi e a favore dei piccoli produttori e dell’ambiente.
Ridurre il consumo di carne è un’azione che fa bene alla salute e all’ambiente e una scelta che oggi è più che ma necessaria. Da questa convinzione ha preso il via la campagna Meat the Change di Slow Food Italia, realizzata con il contributo del ministero italiano dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare. “L’impegno della nostra associazione riguardo al tema carne non è inedito – ci spiega la referente Slow Food Raffaella Ponzio – Slow Food Usa diversi anni fa ha anticipato e spinto la riflessione sul problema dell’impatto ambientale degli allevamenti intensivi e ora, complice una maggiore consapevolezza globale della crisi climatica, ci è sembrato il momento ideale per insistere su questa tematica”.
Che l’eccessivo consumo di carne proveniente da allevamenti intensivi improntati a un modello industriale sia un grave problema è dimostrato da numerosi studi e inchieste, in primis dalla Fao. Questi allevamenti impattano fortemente sugli ecosistemi a livello di emissioni di gas climalteranti (il settore zootecnico è responsabile del 14,5 per cento del totale delle emissioni), di inquinamento da reflui zootecnici, ma anche a causa dei mangimi a base di cereali e soia provenienti da monocolture responsabili di deforestazione e di impoverimento dei suoli (un terzo delle terre coltivate nel mondo è utilizzato per produrre un miliardo di tonnellate di mangimi). Non ci sono considerazioni, inoltre, per le condizioni in cui vivono gli animali: spesso impossibilitati a muoversi, sono anche sottoposti a dosi massicce di antibiotici.
Il risultato ultimo è la produzione di carne di scarsa qualità che peggiora la salute dei cittadini. «Gli allevamenti intensivi hanno completamente distorto il legame armonico tra l’allevatore e l’animale e non rispettano i bisogni primari degli animali, dal movimento alla socialità. Inoltre questi allevamenti contribuiscono alla perdita di biodiversità che noi da anni, ad esempio, cerchiamo di tutelare attraverso l’Arca dei presìdi. Con un gioco di parole Meat the Change ci invita a cambiare la carne nella nostra dieta e allo stesso tempo ci invita ad andare incontro al cambiamento di cui, attraverso scelte di consumo più attente, si può diventare protagonisti”.
La campagna parte con un quiz sulle abitudini alimentari di ognuno di noi, un modo divertente per stimolare la riflessione sul consumo di carne. Tra i materiali informativi che si possono consultare, Slow Food ha poi stilato un decalogo delle buone pratiche che comprende dieci suggerimenti “per fare la differenza”. “La nostra idea è che si debba consumare meno carne e sceglierla con consapevolezza. Una carne di qualità è prodotta nel rispetto del benessere animale, dell’ambiente e della nostra salute. Poiché gran parte dell’inquinamento è legato all’allevamento di bovini, uno dei nostri consigli è quello di scegliere tipologie diverse di carne per diminuire la pressione su determinati tipi di animali e favorire l’allevamento di altri. Scegliendo carne ovina proveniente da allevamenti al pascolo, per esempio, si acquista una carne sana e si aiuta la pastorizia che spesso non riesce a sostenersi solo con la produzione di formaggio. Anche scegliere tagli di carne diversi è una scelta sostenibile (non esiste solo la fettina!) che permette anche di mantenere alcune tradizioni della cucina del passato. Diffidate poi dei prezzi troppo bassi: una carne allevata bene non può costare poco e una gara al ribasso non è sostenibile per i piccoli allevatori”.
Leggere l’etichetta, visitare gli allevatori locali per scoprire come lavorano, chiedere al proprio macellaio carne allevata nel rispetto degli animali, scegliere canali d’acquisto alternativi come i gruppi solidali o affidarsi a consorzi che adottano disciplinari rigorosi sono tutti modi per diventare protagonisti di un cambiamento sostenibile. “Attualmente l’etichetta può darci qualche informazione utile, ma ancora non dice niente sulla modalità di allevamento degli animali. Se non si conosce l’allevatore, la certificazione biologica è certo un buon modo per orientarsi, ma noi sosteniamo anche il progetto dell’etichetta narrante, un’etichetta che non si sostituisce a quella legale, ma che la completa e la integra con altre informazioni, ad esempio sul benessere animale. Sulle modalità di acquisto suggeriamo di utilizzare canali differenti come appunto i gruppi d’acquisto solidali o i Mercati della Terra Slow Food, dove i produttori sono selezionati dall’associazione”.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Lo rivela uno studio che ha analizzato il consumo di cibi ultra-trasformati e lo stato di salute di 450mila europei.
L’etichetta di un alimento deve riportare la data di scadenza o il termine minimo di conservazione. Ecco la differenza e come comportarsi davanti a un cibo scaduto.
Secondo uno studio, le emissioni del settore alimentare basteranno, da sole, a superare l’obiettivo degli 1,5 gradi di aumento della temperatura media globale.
Anche a causa dell’aumento dei prezzi, sempre più persone si vedono negato l’accesso a una dieta sana. L’obesità aumenta, pure nei Paesi a basso reddito.
Per la transizione verso sistemi alimentari sostenibili occorre diminuire la produzione di proteine ad alto impatto: dai legumi agli insetti, ecco pro e contro delle alternative proteiche alla carne.
L’Efsa raccomanda di eliminare le gabbie e le mutilazioni per migliorare il benessere animale, ma per i produttori europei questo si rifletterebbe nell’aumento del costo della carne.
Per la Commissione europea, in alcune zone d’Italia l’inquinamento delle acque da nitrati non sta migliorando o si sta aggravando.
In tutto il mondo crescono superfici agricole coltivate a biologico e produttori, ma serve una spinta ai consumi verso la transizione agroalimentare.
Prima capitale in Europa a farlo, Edimburgo ha sottoscritto il Plant based treaty per promuovere diete vegetali in risposta alla crisi climatica.