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Nel cuore delle Alpi, il Parco nazionale dello Stelvio è uno scrigno di biodiversità unica. Attraverso la fotografia, scopriamo la bellezza e il valore di questo prezioso patrimonio naturale e culturale da continuare a tutelare.
Il Parco nazionale dello Stelvio è uno dei più antichi parchi naturali italiani, istituito nel 1935 per proteggere le numerose specie animali e vegetali e i paesaggi che custodisce. Situato nel cuore delle Alpi, nelle regioni di Lombardia e Trentino-Alto Adige, la sua varietà di panorami ed ecosistemi è unica. Si passa dalle lunghe distese erbose dei masi di montagna, agli alberi fitti che costeggiano i crinali, alle rocce ripide interrotte dai ruscelli, a quelle scavate dal tempo, agli spazi impervi e aridi che precedono i ghiacciai, che si stagliano alti sulle cime bianche.
Con più di 100mila ettari protetti, il Parco nazionale dello Stelvio ospita 1.500 chilometri di sentieri che si snodano lungo il gruppo montuoso Ortles-Cevedale e permettono di scoprire la ricchezza naturale dell’area protetta. Si pensi che la fauna conta, solo tra i vertebrati, più di 260 specie, da quelle più iconiche degli stambecchi, delle marmotte e delle aquile, che sono presenti nel parco con una delle densità più alte in Europa, fino agli ermellini, le volpi e i gipeti. Il gipeto (Gypaetus barbatus), in particolare, ha una storia di successo all’interno del parco perché dopo essere stato dichiarato estinto nelle Alpi all’inizio del Novecento, è ora tornato a nidificare in natura grazie a un progetto internazionale di reintroduzione che continua ancora oggi.
Il gipeto è un magnifico rapace che è tornato a nidificare in natura nelle Alpi grazie a un progetto internazionale © IngimageL’area protetta si sviluppa principalmente in alta quota: tre quarti del suo territorio sono, infatti, al di sopra dei duemila metri, dando vita a un perfetto habitat di alta montagna. Si vedono così le foreste di conifere, con il famoso abete rosso, nelle altitudini più basse per passare ai pini e ai larici nei versanti più elevati che lasciano infine posto ai nevai e ai ghiacci perenni.
Siamo stati nella parte lombarda del parco che si estende nella Valfurva, in Alta Valtellina, sopra i comuni di Bormio e Santa Caterina, grazie a un weekend di trekking fotografico organizzato dall’agenzia fotografica Pixcube e targato LifeGate Experience, il progetto che promuove attività di turismo sostenibile, nel rispetto dell’ambiente e delle persone dei luoghi visitati.
Grazie alle escursioni fotografiche alla ricerca dei paesaggi più tipici e spettacolari, abbiamo potuto fondere le caratteristiche che questa tecnica condivide con la vita in alta quota. La fotografia naturalistica, alla fine, rispecchia il passo, lento e paziente, della montagna. Un tempo che è scandito dal susseguirsi imperturbabile di scorci, movimenti e suoni della natura. Così, l’ambita luce che cambia in un paesaggio è in realtà un sipario che si apre sul mondo naturale: nelle prime luci dell’alba si assiste e ascolta il risveglio della natura, al tramonto l’assopirsi del brulichio che riempie il giorno, per lasciare spazio al silenzio e all’apparente immobilità della vita notturna.
Durante il weekend siamo stati accompagnati, oltre che da un mastro fotografo, da una guida del parco, che ha spiegato e svelato gli aspetti più curiosi e rappresentativi della zona, accompagnandoci sui sentieri delle escursioni all’interno dell’area protetta.
È così che, salendo verso il lago delle Rosole dove si specchiano le cime innevate e i ghiacciai, abbiamo scoperto i dettagli e la storia delle vette, dal Gran Zebrù alla Punta San Matteo, e le curiosità sugli animali e delle piante locali, come ad esempio il fatto che una pianta può essere albina dopo aver osservato un raro rododendro fiorito bianco invece che rosa.
Proseguendo il cammino si sale, attraversando i ponti tibetani, verso la zona del ghiacciaio dei Forni, il più grande ghiacciaio vallivo italiano, ovvero un ghiacciao la cui lingua fluisce nella valle principale. Questo ghiacciaio, però, si è ridotto e ritratto notevolmente nel corso dei decenni, come conseguenza del riscaldamento globale, arrivando ad avere un’estensione di soli 11 chilometri quadrati. Secondo il glaciologo Claudio Smiraglia il ghiacciaio dei Forni ormai non esiste più, perché dallo scorso anno si è frammentato in tre più piccoli, uno vallivo e due montani. Anche la nostra guida ricorda quando, solo poco più di vent’anni fa, la lingua del ghiacciaio arrivava fino a valle, oltre alla diga dei Forni, come testimoniano le fotografie “storiche” che riempiono le pareti di legno dei rifugi che abbiamo visitato.
Il sentiero porta infine alle bocche del ghiacciaio, che formano delle piccole grotte azzurre, cristalline come vetrate. Visitandole durante il calore del giorno, anche se ci si trova a quasi 3.000 metri d’altitudine, si assiste al suo inesorabile scioglimento. Riprendendo la via verso la valle, si segue un sentiero che è lambito da rocce sinuosamente levigate dall’azione erosiva del ghiaccio che una volta le ricopriva, che ora appaiono striate di colore rosso-violaceo, come una memoria di quello che una volta è stato.
L’obiettivo di questa esperienza, come sottolinea Pixcube che collabora con Federparchi (Federazione italiana dei parchi e delle riserve naturali) nelle sue attività di esplorazione fotografica, è stato quello di “conoscere e condividere questo delicato equilibrio e fonte di enorme bellezza, che deve essere rispettato e protetto, anche con le nostre foto”. La filosofia alla base è, infatti, che con le nostre immagini, diventiamo ambasciatori del territorio. In questo spirito, e a coronamento delle uscite escursionistiche, abbiamo passato una serata con l’alpinista estremo e himalaista Marco Confortola, che è nato e vive, facendo la guida alpina e lavorando nel soccorso alpino, proprio tra le montagne della Valfurva.
Dopo averci portato sulle vette più alte del Pianeta con i suoi racconti (Confortola ha conquistato dieci dei quattordici ottomila del mondo), ci ha parlato dell’amore per la sua, di montagna. “Qui noi abbiamo veramente tutto, abbiamo l’oro. Ma a volte, purtroppo, non siamo capaci di dare valore a quello che abbiamo”, ha detto. “La montagna va coccolata, coltivata, preservata. Se abbiamo un posto così bello è perché qualcuno l’ha mantenuta così. Se perdiamo le persone che lo fanno, perdiamo la bellezza. Se perdiamo chi falcia il prato, il rifugista che ti dice buongiorno, perdiamo tutto. Questo è il vero turismo. Cento anni fa avevano già visto il turismo in una certa maniera, poi l’abbiamo perso”.
Uno degli obiettivi del parco nazionale, infatti, è anche di promuovere un tipo di turismo sostenibile al fine di tutelare la cultura locale, le professioni e le attività legate al territorio, per farle prosperare. “Se non capiamo le fatiche dell’agricoltore, della guida alpina, del malgaro, andiamo a scomparire. L’importante è avere tanta curiosità, e ascoltare. Perché tutte le persone hanno qualcosa da darci e insegnarci. Bisogna avere il buon senso di abbassarsi, di non sentirsi fenomeni. Spesso confronto montagna e mare, sono due essenze della natura fortissime. Non puoi pensare di sfidarle, devi rispettarle”.
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