Plastica circolare a contatto col cibo: l’innovazione dei materiali sposa la sostenibilità

L’innovazione dei materiali è fondamentale se si vogliono ottenere oggetti riciclati con le stesse caratteristiche di quelli vergini. L’intervista al prof. Enrico Marcantoni dell’università di Camerino, partner nella ricerca di Fratelli Guzzini.

Il problema non è la plastica ma la sua cattiva gestione. L’inquinamento che sta avvelenando cieli e mari è provocato, tra le altre cose, dall’abbandono indiscriminato di questo materiale e dalla superficialità negli acquisti (quanti contenitori in plastica monouso ci sono nel vostro frigo in questo momento? Ed è solo un esempio). Il riciclo ormai non è più un’opzione ma una necessità: solo disvelando il valore della risorsa contenuta in quello che appare rifiuto c’è ancora la possibilità concreta di fare bene all’ambiente.

Di innovazione dei materiali e sviluppo economico sostenibile parliamo con il professore Enrico Marcantoni, facoltà di Scienze e tecnologie, dipartimento di Chimica, presso l’università di Camerino. Da anni un dottorato di ricerca della facoltà, finanziato da Fratelli Guzzini, si occupa di individuare materiali riciclati per produrre oggetti che abbiano le stesse caratteristiche di funzionalità, idoneità al contatto con il cibo e durabilità rispetto ai materiali vergini. Una sfida tutta da giocare.

inquinamento guanto
Un guanto in plastica monouso abbandonato lungo la strada. Esempio di come un singolo gesto possa ripercuotersi sul benessere collettivo, soprattutto in tempi di Covid-19 © Getty Images Europe

Prof. Marcantoni, spingere l’accelerazione sull’innovazione significa adottare materiali sempre più innovativi, realizzati minimizzando l’impatto del ciclo produttivo sull’ambiente. Quali sono le tecniche più innovative e sostenibili sulle quali si concentra il settore della ricerca?
Oggi rispetto al passato registriamo grandi cambiamenti nella ricerca e sviluppo di materiali innovativi a matrice polimerica. Metodi scientifici permettono di valutare i potenziali impatti ambientali lungo l’intero ciclo di vita di un prodotto e poter così identificare i necessari possibili miglioramenti. Un metodo validato per il calcolo dell’impatto ambientale espresso in chilogrammi di CO2 equivalenti è basato sulla metodologia Life cycle assessment (Lca) che utilizza procedure standardizzate dalle normative. La sinergia università-aziende è sempre più necessaria per misurare la reale sostenibilità ambientale attraverso la combinazione dei dati ottenuti con la caratterizzazione chimica dei materiali (università) insieme ai parametri di processo utilizzati nelle attività produttive (azienda). Oltre a questo, due nuovi aspetti sono oggi ancora più necessari da considerare: il primo riguarda la verifica dell’impiego di sostanze pericolose, siano esse naturali che non, e la loro rintracciabilità nel prodotto finito. Il secondo aspetto riguarda il verificare la possibilità che sostanze pericolose si possano formare durante il processo produttivo.

Riguardo al caso particolare del riciclo del pet è ormai lecito pensare che il materiale riciclato, R-pet, possa rientrare nella famiglia dei materiali utili per un futuro sostenibile. A dimostrazione di questo, il fatto che in Europa il pet insieme al hdpe costituiscono le famiglie delle plastiche più riciclate. Il processo di riciclo a R-pet necessita però di essere ottimizzato riguarda soprattutto ad alcune criticità: in primo luogo, ancora oggi il processo di riciclo richiede un elevato consumo di acqua di lavaggio. In seconda battuta, esistono ancora delle difficoltà nell’utilizzo di un unico processo di riciclo per ottenere R-pet, indipendentemente dal materiale di partenza, sia da termoformatura che da stampaggio per soffiaggio. In ultima analisi, il prezzo di pet riciclato food grade è superiore a quello del prezzo del vergine. Questo sicuramente indebolisce la spinta verso un maggiore riciclo, rendendo difficile per le aziende sostenere economicamente la propria attività.

Quali materiali riciclati sono i più adoperati e sicuri per prodotti idonei al servizio e consumo degli alimenti?
In questi ultimi anni a farla da padrone nel packaging alimentare sono gli imballaggi ecologici, soprattutto per il forte interesse dell’industria e dei consumatori. La richiesta di biopackaging continua a salire e diversi nuovi materiali puntano all’assenza, o quantomeno alla sostituzione, della plastica a favore di materiali biodegradabili. Per avere successo queste soluzioni dovranno garantire almeno le stesse performance tecnologiche ed estetiche del materiale di origine fossile. Le difficoltà incontrate riguardano la produzione di materiali resistenti, in grado di proteggere efficacemente l’alimento, facilmente stampabili e accattivanti per il consumatore.

Non bisogna dimenticare che la plastica è un materiale riciclabile proprio come metallo, vetro e carta. Studi intorno agli impatti ambientali di imballaggi elaborati da diverse società di consulenza evidenziano il falso mito che l’imballaggio in vetro oppure in carta sia ecologicamente migliore. È noto invece come i contenitori in vetro sono molto più pesanti, con conseguente maggiori emissioni di CO2 durante il loro trasporto. Analogamente, il riciclo del vetro richiede una temperatura più elevata per essere fluidificato rispetto a quella necessaria per il riciclo della plastica.

Certamente il packaging del futuro sarà sempre più funzionale, economico e intelligente. Tra questi, imballaggi con un migliore effetto barriera, vale a dire una maggiore capacità di impedire quasi completamente il rilascio di sostanze sia dall’ambiente all’alimento che viceversa, permettono una buona conservazione di prodotti alimentari, garantendo un minore impatto ambientale associato alla più efficiente preservazione delle caratteristiche nutrizionali originali dell’alimento. Per questo, la possibilità di modificare chimicamente i polimeri ottenuti da materiali di riciclo, permette di introdurre funzioni specifiche che possono favorire il loro effetto barriera.

Approvvigionamento materie prime seconde e certificazione plastiche post consumo: quanto è importante effettuare l’analisi delle varie fasi di produzione, anche per fornire al consumatore un’informazione che sia la più trasparente possibile?
Un ruolo importante è quello dei consumatori che devono essere sempre più consapevoli. Non solo dei rischi della plastica che, non riciclata, finisce per inquinare l’ambiente, ma anche della qualità e potenzialità di tale materiale. Ogni volta che un cliente effettua un acquisto diventa parte di un sistema integrato e così è in grado di comprendere come in alcuni casi la plastica è proprio insostituibile, in altri inutile e dannosa. Di certo è una risorsa preziosa e, nonostante l’acuirsi del problema dell’inquinamento ambientale, non dovrebbe essere demonizzata.

Ad oggi il problema non è la plastica in sé, ma quella gestita male. Per questo il riciclare è una necessità sempre maggiore e soprattutto sarà necessario farlo diversamente da come è stato svolto fino ad oggi. Il 16 Gennaio 2018 la Commissione europea ha varato la prima strategia europea per la plastica inserita nel processo di transizione verso un’economia circolare ed uno degli obiettivi è proprio che tutti gli imballaggi siano riutilizzabili oppure riciclabili entro il 2030. Il riciclo della plastica si affida quasi esclusivamente al riciclo meccanico tradizionale, anche se in questi ultimi periodi si sta promuovendo il riciclo chimico. Questo prevede processi come la depolimerizzazione e la pirolisi che scompongono i polimeri in materie prime che possono essere convertite in nuovi materiali. In definitiva, la consapevolezza del minore impatto ambientale dei materiali riciclati rappresenta un ottimo stimolo per le aziende a considerare i primi scarti post-industriale e post-consumo delle materie prime seconde e non dei rifiuti.

Incrementare la durabilità del prodotto è uno dei pilastri dell’economia circolare. La plastica post consumo garantisce prodotti di qualità nel lungo periodo che si possono anche rigenerare?
L’uso dei materiali ecologici è qualcosa di auspicabile ma con criterio. Bisogna avere la consapevolezza che il solo loro eventuale utilizzo non risolve il problema anzi, potrebbe rischiare di amplificarlo. Di certo l’impiego di materiali non più utilizzabili, per ottenerne dei nuovi rappresenta un’ottima scelta. Attenzione, tuttavia, a non fornire un significato fuorviante del riciclo: è fondamentale, prima di tutto, puntare sull’allungamento della vita utile di un prodotto, al fine di raggiungere gli obiettivi europei, abbandonando pregiudizi e seguendo il paradigma dell’economia circolare “uso – riutilizzo – riparazione – riciclo”.
Interessanti sono i recenti risultati che riguardano lo sviluppo di nuovi polimeri aventi le proprietà meccaniche dei termoindurenti alla temperatura di esercizio e la fluidità dei termoplastici in condizioni di formatura. Tali materiali vengono studiati per superare le criticità legate all’impiego dei materiali compositi, materiali di elezione per applicazioni strutturali, che non possono poi essere riciclati perché anche a temperature elevate non sono più modificabili ma, semplicemente, si degradano.

Oggi è molto attenzionato anche il tema del rilascio delle microplastiche, in ambiente marino e terrestre, e dell’impatto sulla salute degli ecosistemi. Utilizzare plastiche post consumo e cicli produttivi più sostenibili può aiutare a contrastare il problema?
Nel 2016 si è parlato diffusamente di microplastiche (frammenti solitamente inferiori a 5 mm) che si generano principalmente per il deteriorarsi di pezzi di plastica più grandi come sacchetti, bottiglie, reti da pesca, capi sintetici (in seguito a lavaggio), pneumatici (abrasione durante la guida). Il problema c’è ed è innegabile. Il riuso di materiali post-consumo può sicuramente aiutare a contrastare il reale problema delle microplastiche perché si attiverebbe così un modello economico che si basa sull’idea di recuperare sempre più rifiuti in modo da poterli riciclare o riusare. Si eviterebbe quindi di mandare il materiale in discarica, eliminando così il rischio di non essere smaltito correttamente (dispersione in natura), ma anzi, si garantirebbe ad altre aziende e industrie del settore di prelevare questa preziosa risorsa a fine vita per essere riutilizzata in nuove applicazioni.

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