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Un progetto che la ristoratrice Nora Tadolini condivide con altre donne e persone della comunità Lgbtqi+. Posto Ristoro offre un’alta cucina sostenibile e accessibile a chiunque.
Lo scorso 18 giugno a Castenaso, periferia di Bologna, ha aperto Posto Ristoro, il ristorante di Nora Tadolini, ma anche molto di più. “Sono felice perché ho realizzato esattamente quello che avevo in testa”, ci racconta. È un progetto, il suo, maturato in vent’anni di lavoro nella ristorazione, in Italia e all’estero, in cucina e in sala, “anni di discriminazioni subite come donna e come lesbica, sia come dipendente, sia come cliente”. Per questo, quando ha pensato a un posto tutto suo, l’ha immaginato come un luogo di alta cucina, ma anche di accoglienza, verso se stessa e verso gli altri.
Il nome racconta già molto: Posto Ristoro è tratto dal libro “Altri Libertini” di Pier Vittorio Tondelli, “una delle prime letture omosessuali che ho affrontato nella mia vita e in cui mi sono riconosciuta molto”. Tra le intenzioni di Nora c’è quella di creare un ambiente di lavoro che dia importanza al fattore umano e al rispetto, a partire dalla scelta di assumere nello staff solo donne, ragazze e persone della comunità Lgbtqi+: “Voglio dare alle minoranze emarginate quello 0,0001 per cento di possibilità di lavorare che nessuno dà loro. Attualmente siamo in cinque, Giorgia, Michela, Carlotta, Francesca ed io, tutte donne, assunte con contratto a tempo indeterminato. Abbiamo tutte lo stesso stipendio, non ci sono gerarchie”. Il ristorante offre anche borse lavoro a ragazze rifugiate trans.
“Se possiamo esprimere al meglio noi stesse, diventiamo più comprensibili agli altri”, spiega ancora Nora. E, infatti, Posto Ristoro vuole offrire un’alta cucina tra memoria e idee che sia però alla portata di chiunque. A tavola c’è spazio per tutte le persone, vegetariane, vegane, intolleranti al glutine. E la proposta è “rivoluzionaria per tradizione”. Cresciuta a tortellini e lasagne, Nora pesca nei ricordi delle nonne e delle mamme, ma anche nei suoi quaderni di viaggi e di esperienze lavorative in giro per il mondo: “Voglio offrire a Bologna qualcosa che ancora non c’è, prediligendo le seconde portate e ingredienti insoliti. I piatti cambiano nella forma, ma non nella sostanza. Penso, ad esempio, al gyoza verde di ortiche, con ragù di daino e cinghiale, crema di capra e fondo bruno, che potrebbe essere visto come una reinterpretazione della lasagna”.
In cucina si prediligono i prodotti a filiera corta e sostenibile: “Per frutta e verdura ci riforniamo al mercato contadino preferendo biologico e biodinamico. Utilizziamo pesce dell’Adriatico, valorizzando il pesce povero e meno conosciuto. In menù non c’è carne di mucca e nemmeno di maiale, ma solo cacciagione e animali da cortile, con la volontà di ridurre il nostro impatto sull’ambiente”. Tre i menu degustazione, La Selvaggina (con protagonisti daino e cinghiale), Il Pesce (dove si interpretano il cefalo e sgombro) e Il Veggy (con seitan fatto in casa e la melanzana in tre modi), ma i piatti si possono scegliere anche alla carta; i vini, molti naturali, hanno una parte preponderante nella proposta culinaria e trovano spazio nella cantina a vista del ristorante dove ci si può anche accomodare.
Con l’obiettivo di far sentire a proprio agio tutte le persone, il ristorante non richiede nessun dress-code e il servizio di sala è agender così come lo sono i bagni, dove non si trovano le classiche targhette per distinguere quelli riservati alle donne e quelli agli uomini, ma solo le scritte “Coming in” e “Coming out” con tanto di riflessione sulla scelta di dichiarare il proprio orientamento sessuale. E mentre ci si dirige ai servizi, ci si può scattare un selfie allo specchio accanto ai ritratti di quattro icone trans-femministe: Loredana Berté, Lizzo, Jodie Foster e Billie Eilish. Perché quando si sta bene, ci si può anche divertire.
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