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Secondo l’analisi di “60 Millions de consommateurs”, i prodotti vegani contengono additivi e molti più zuccheri che proteine. Anche scegliendo solo cibi non lavorati bisogna integrare la vitamina B12 e altri elementi. E intanto i vegani in Italia diminuiscono.
Chi segue un’alimentazione vegana, mai come in questi tempi, è facilitato dall’offerta di prodotti veg, sempre più disponibili sugli scaffali e percepiti dal consumatore come più sani rispetto agli alimenti tradizionali. Eppure, leggendone bene l’etichetta, si scopre che le cose non stanno sempre così. La rivista francese 60 Millions de consommateurs ha analizzato la composizione dei cibi vegani in vendita nei supermercati e nei negozi specializzati confrontandoli con il loro corrispettivo non vegano e ha scoperto che spesso gli ingredienti sono tutt’altro che naturali.
Per esempio, al posto del formaggio vengono utilizzati amidi e oli vegetali associati a stabilizzanti e aromi per conferire sapore e consistenza; in molti degli alimenti vegani si registra uno squilibrio tra proteine e zuccheri a favore dei secondi, tanto che occorrerebbe compensare l’alimentazione con cibi ad alto contenuto proteico. E non dimentichiamo infine di considerare il prezzo: un prodotto vegano può arrivare a costare fino al doppio del suo equivalente tradizionale e il prezzo è spesso giustificato dai produttori con le basse quantità prodotte e i complessi processi di produzione.
Come essere sicuri allora di nutrirsi in modo sano pur optando per un’alimentazione vegana? Verrebbe da rispondere di evitare i prodotti industriali e di preferire cereali, legumi, frutta e verdura al naturale. In realtà non è però così scontato come sembra: lo ha dimostrato l’esperimento della giornalista Chiara Camponovo di Patti Chiari (un programma della tv ticinese) che, come raccontato da Il Fatto Alimentare, ha seguito per tre mesi una dieta vegana preparata da un esperto per capire cosa succede a chi rinuncia a carne, pesce, uova e formaggi. La giornalista si è sottoposta agli esami del sangue prima e dopo la dieta rilevando alla fine valori più bassi di colesterolo cattivo (dovuto in gran parte all’eliminazione dei formaggi), ma anche una diminuzione del colesterolo buono e una perdita di vitamina B12 al di sotto dei livelli raccomandati. Questa vitamina, essendo presente solo nei derivati animali, dovrebbe essere integrata da chi segue un’alimentazione vegana una volta che si esauriscono le scorte del nostro organismo. Una carenza di B12 potrebbe portare infatti ad anemia e disturbi neurologici. Anche compensare il calcio contenuto nel formaggio, per esempio, non è così facile: per un apporto di questo elemento pari a quello presente in 100 g di parmigiano, si dovrebbero mangiare 400 g di mandorle oppure 1 kg e mezzo di spinaci o ancora 700 g di fichi secchi.
Secondo i dati del Rapporto Eurispes 2018 appena pubblicato, la percentuale di popolazione che si dichiara vegana è scesa dal 3 per cento dello scorso anno allo 0,9 per cento, risultati che fanno pensare ad un carattere transitorio di questo tipo di scelte alimentari o ad un’alternanza fra alimentazione vegetariana, vegana e tradizionale. Tra vegetariani e vegani, il 32,1 per cento ha affermato di seguire una dieta crudista che prevede esclusivamente il consumo di cibi non cotti, il 23,1 per cento si nutre prevalentemente o esclusivamente di frutta, mentre il 12,8 per cento aderisce alla paleo-dieta, incentrata su un ritorno alle origini in tema di alimentazione.
Le motivazioni che spingono a scegliere un’alimentazione di tipo vegetariano o vegano sono diverse: per la convinzione degli effetti positivi di queste pratiche alimentari sulla salute della persona (38,5 per cento), per amore e rispetto nei confronti degli animali (20,5 per cento), per abbracciare una filosofia di vita o per mangiare meglio (14,1 per cento). Solo il 3,8 per cento dei vegani e vegetariani ha considerato principalmente l’impatto positivo che queste diete possono avere sull’ambiente. C’è infine un altro 3,8 per cento che sperimenta il vegetarianismo e veganesimo solo per curiosità.
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