L’80% della deforestazione dipende da ciò che mangiamo, beviamo e indossiamo secondo il Wwf

Quanta deforestazione si cela in una tazzina di caffè? E in un panino con la bresaola? Le risposte, inaspettate, in un report del Wwf.

Per noi che viviamo in Europa, la deforestazione può sembrare un problema lontano. Magari ci indigniamo, ci informiamo, firmiamo petizioni, ma in fondo ci sentiamo impotenti di fronte a un qualcosa che accade dall’altra parte del mondo. In realtà, se partiamo dalla distruzione delle foreste e andiamo a ricostruire la catena, scopriamo che l’ultimo anello spesso e volentieri è nelle nostre mani. Nel nostro piatto, nel nostro armadio, addirittura nella nostra tazzina di caffè. A fare luce sul tema della deforestazione incorporata nei consumi è un nuovo report del Wwf.

Che legame c’è tra deforestazione e consumi

In Brasile gli incendi hanno assunto dimensioni fuori dall’ordinario. Nella foresta amazzonica sono stati rilevati 32mila roghi a settembre 2020 (il 61 per cento in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno) e oltre 17mila a ottobre (quasi 10mila in più rispetto al 2019). Le cose non vanno meglio nel Pantanal, la più grande zona umida della Terra, dove quest’anno sono stati rasi al suolo 4,2 milioni di ettari. Si tratta della stagione peggiore dal 1998, quando sono iniziati i monitoraggi di Inpe (Istituto nazionale di ricerche spaziali).

Il 73 per cento della deforestazione nelle aree tropicali e subtropicali è opera di chi vuole fare spazio a pascoli o terreni agricoli, dove coltivare soprattutto soia e palme da olio. Tutti prodotti che vengono venduti ed esportati. Ed è qui che si innesca il legame che porta fino a noi. L’Unione europea infatti acquista il 37 per cento delle colture e dei prodotti di origine animali associati alla distruzione delle foreste nei loro paesi d’origine. Il 60 per cento proviene dal Brasile, il 25 per cento dall’Indonesia. Tecnicamente si parla di embedded deforestation. Un fenomeno di proporzioni enormi, a cui si deve l’80 per cento delle aree disboscate. Da soli, i consumi dell’Unione europea provocano il 10 per cento della deforestazione globale.

La deforestazione in una tazzina di caffè

Il caffè è secondo solo all’acqua nella classifica delle bevande più diffuse al mondo, con 2,5 miliardi di tazze al giorno. Una su tre viene bevuta in Europa, che ne importa dall’estero 3 milioni di tonnellate. L’Italia, dove il caffè è un rito dal forte valore culturale, è la seconda in classifica per importazioni (604mila tonnellate) ma solo al decimo posto per consumo pro capite, con circa 6 kg all’anno.

È per questo, sottolinea il Wwf, che non possiamo più permetterci di chiudere gli occhi davanti alla sua provenienza. Per soddisfare la domanda globale, la produzione di caffè dovrà triplicare da qui al 2050. Ma il 60 per cento dell’area potenzialmente idonea oggi è coperta da foreste. Se a livello internazionale non si farà nulla per evitarlo, ne deriverà una catastrofe ecologica. Già negli ultimi anni la coltivazione tradizionale, che avveniva all’ombra degli alberi con un impatto minimo sulla vegetazione, è stata sostituita dalle immense piantagioni intensive. Più redditizie, ma decisamente meno sostenibili.

Allevamento di mucche in Amazzonia
La deforestazione per creare coltivazioni intensive o pascoli per il bestiame minaccia seriamente la sopravvivenza delle popolazioni native e della biodiversità © Mario Tama/Getty Images

Breasola Igp made in Brazil

Chi compra un etto di bresaola Igp, simbolo della cucina valtellinese, non immagina certo che in parte sia stata realizzata con le cosce congelate di zebù, bovino allevato prevalentemente in Brasile. È tutto legale, precisa il Wwf, perché il disciplinare lo consente. Ma non si può dimenticare che, secondo alcune stime, l’allevamento di bestiame è la causa – diretta o indiretta – della distruzione di 75 milioni di ettari di Amazzonia. Un impatto superiore rispetto a quello di olio di palma e soia messi insieme. È di provenienza brasiliana una quota compresa fra il 25 e il 40 per cento della carne bovina importata nell’Ue; l’Italia è al primo posto europeo per importazioni di carne fresca e congelata, che per un terzo proviene da paesi extra europei.

Foreste sacrificate per l’industria del pellame

Dalla carne bovina deriva anche il 70 per cento della materia prima impiegata dall’industria conciaria made in Italy, tra le più note e celebrate al mondo. Il nostro paese è sul secondo gradino del podio dei principali importatori di pellame dal Brasile; al primo posto c’è la Cina. In questo comparto il rischio di avere a che fare con la deforestazione è alto, ma ancora preso in scarsa considerazione. Le stesse aziende che investono sull’efficienza energetica, nella corretta gestione di scarti e materiali chimici o nel risparmio idrico, denuncia il Wwf, difficilmente effettuano controlli risalendo fino all’origine della filiera.

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