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L’allevamento biologico rispetta l’ambiente e il benessere animale e si propone come modello verso la transizione agroecologica. Ma per Federbio servono standard di produzione ancora più elevati.
Cosa significa allevamento biologico ma, soprattutto, cosa vuol dire oggi rispettare il benessere animale? Se n’è parlato durante la seconda tappa della Festa del bio, lo scorso 4 ottobre a Milano, un evento ideato da Federbio (Federazione italiana agricoltura biologica) per riunire gli operatori del settore, associazioni, cittadini e discutere di bio attraverso talk, show cooking, laboratori. Durante l’evento, Federbio, insieme a tutte le associazioni di Cambia la terra – Isde Medici per l’ambiente, Legambiente, Lipu, Slow Food e Wwwf – ha presentato il quaderno Allevamenti. Sostenibile non basta: il modello è quello del bio, un testo che fa il punto sull’impatto degli allevamenti in Italia e che propone soluzioni innovative e concrete affinché ci sia un nuovo metodo produttivo per la zootecnia.
L’allevamento biologico è normato dal regolamento europeo 834/2018 sulla produzione biologica che fa riferimento ad alcuni principi tra cui:
Secondo il regolamento del biologico, in un allevamento bio gli animali devono avere libero accesso a pascoli e spazi aperti ogniqualvolta possibile; il numero di capi deve essere adeguato allo spazio disponibile; l’utilizzo di ormoni stimolanti della crescita è vietato; non è consentito l’impiego di antibiotici preventivi; gli animali devono nutrirsi principalmente di mangimi biologici e pascolare su terreni bio; le pratiche di mutilazione, come il taglio della coda ai maiali, lo smussamento dei becchi alle galline o quello delle corna alle mucche sono vietate, salvo rare eccezioni (ad esempio legate a interventi sanitari) che devono essere autorizzate.
L’allevamento biologico si contrappone all’allevamento intensivo, un modello nato nel dopoguerra e finalizzato all’efficienza della produzione anche a costo del benessere animale con un numero elevato di capi concentrati in poco spazio, sovra nutriti, gonfiati da ormoni e antibiotici. L’allevamento intensivo si è rivelato dannoso anche dal punto di vista ambientale: l’allontanamento dell’allevamento dall’agricoltura ha avuto come conseguenza la rottura di un equilibrio ecosistemico che a sua volta ha generato altri problemi come l’inquinamento di aria, acqua e suolo o la necessità di nutrire gli animali con mangimi a base di soia, la cui coltivazione intensiva ha causato una grande perdita di foreste.
Per questo secondo Federbio (Federazione italiana agricoltura biologica), in un momento storico in cui occorre muoversi in una direzione di sostenibilità su tutti i livelli e in tutti i comparti, il primo passo da fare in tema di allevamenti è quello di passare da un modello intensivo a uno basato sul biologico e sull’agroecologia. Un modello che avvicinerebbe l’allevamento agli obiettivi definiti dalle strategie Farm to Fork e Biodiversità del Green deal europeo che prevedono, tra le altre cose, il dimezzamento dell’uso di antibiotici negli allevamenti entro il 2030.
Non solo. Partendo dalla consapevolezza che anche nel biologico occorra puntare a livelli di qualità sempre più elevati per rispondere ai bisogni di quei cittadini sempre più sensibili alla tematica del benessere animale, le associazioni di Cambia la terra hanno redatto un quaderno che contiene un’interpretazione avanzata del regolamento europeo sul biologico e che definisce lo Standard high welfare, un modello di allevamento che tiene conto del benessere degli animali, ma anche della conservazione della biodiversità, della valorizzazione delle razze locali e degli allevamenti di piccola scala, importanti per la rivitalizzazione dei territori interni.
“Il disciplinare del biologico lascia alcuni spazi interpretativi”, ha spiegato Maria Grazia Mammuccini, presidente di Federbio. “Per questo a fine 2016 abbiamo avviato un percorso partecipato per dare finalmente una lettura, dalla parte del benessere animale, della normativa di allevamento biologico nel contesto italiano. Per fare un esempio, se il regolamento del bio suggerisce il pascolo per l’animale ogni volta che ce n’è la possibilità, noi abbiamo stabilito invece che si debba consentire all’animale di pascolare almeno 120 giorni in un anno”.
Lo Standard Federbio, superiore ai requisiti del regolamento bio, punta ad un corretto rapporto tra la produzione vegetale la produzione animale e ha i suoi principali punti cardine ne:
“Il benessere animale va perseguito in una visione olistica e secondo l’etogramma (l’insieme dei comportamenti naturali) proprio di ogni specie”, ha spiegato Sujen Santini, medico veterinario. “L’animale è un essere senziente e oltre a evitargli esperienze negative occorre promuoverne di positive. Nella mia esperienza di lavoro negli allevamenti posso dire che non ci sono ostacoli tecnici alla transizione, ma solo culturali. In molti dei casi in cui siamo riusciti ad attuare una conversione dall’allevamento convenzionale al biologico, l’abbiamo fatto attraverso sinergie sul territorio tra allevatori e agricoltori da cui sono scaturiti anche nuovi rapporti sociali”. Per questo servono soluzioni innovative anche dal punto di vista organizzativo come i distretti del bio, previsti dalle legge sul bio, che mettono in correlazione più aziende.
Il quaderno punta a soddisfare la crescente domanda di carne bio che al momento non trova sufficiente copertura da parte dell’offerta nazionale – come sottolinea un documento Ismea, l’ente di ricerca sul mercato agricolo – ma lo fa con un approccio in linea con le strategie europee del Green deal e che avvia un nuovo percorso virtuoso per quanto riguarda l’allevamento di animali e il consumo di carne che dovrà essere ridotto ma più di qualità. Qualità che, come chiedono i produttori, deve essere indicata in modo chiaro in etichetta, per consentire ai consumatori di fare scelte sempre più consapevoli.
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