
Nella Bassa California, la cooperativa Guardianas del Conchalito sta salvando la zona umida costiera di La Paz, dando un contributo alla mitigazione del clima e all’indipendenza delle donne.
Le chiavi per la transizione agricola? Secondo il Wwf sono multifunzionalità e sostenibilità, concetti che appartengono naturalmente alle donne, per questo sempre più protagoniste delle imprese agricole.
La contadina, la coltivatrice, l’agricoltrice, l’imprenditrice agricola: vi suonano strane queste professioni declinate al femminile? Eppure l’agricoltura è sempre più donna. Secondo il Bioreport 2019, in Italia, su oltre 1 milione e 145 mila aziende agricole, circa una su tre (il 31,3 per cento) è a conduzione femminile. Guardando in particolare al bio, delle quasi 50mila imprese agricole biologiche, sono condotte da donne il 29,6 per cento.
Numeri simili a quelli riportati il 15 ottobre scorso anche dal Wwf in occasione dell’International day of rural women, la Giornata Internazionale delle donne rurali istituita dall’Onu. L’organizzazione ha evidenziato in particolare come la percentuale delle donne alla guida delle imprese agricole salga nel caso delle aziende cosiddette multifunzionali, ovvero che, ad esempio, trasformano e vendono direttamente i loro prodotti, che si propongono anche come agriturismi o che svolgono attività didattiche in fattoria. E questa sarebbe la dimostrazione che le donne tendono a rendere l’agricoltura più “umanistica e sostenibile” grazie alla loro naturale propensione all’innovazione e alla multifunzionalità, alla maggiore capacità di adattamento, al legame più forte con il territorio, alla cultura, alla tradizione e ai saperi locali. Una tendenza legata anche al fatto che le donne non percepiscono l’azienda solo come fonte di reddito, ma anche come stile di vita.
E poiché l’azienda agricola multifunzionale è per il Wwf una via preferenziale per tutelare la biodiversità, attuare la sostenibilità ambientale e sociale, promuovere turismo e servizi, va da sé che la transizione ecologica del sistema agricolo sia donna. Le donne, come sottolineato dal Wwf, hanno saputo costruire, con creatività e passione, aziende in gran parte a conduzione familiare, in grado di rispondere al bisogno della società di cibo genuino, prodotto con pratiche rispettose dell’ambiente, di servizi alla persona, di inclusione sociale e di attenzione alla tutela delle tradizioni e delle biodiversità locali. Queste aziende, più di altre, hanno saputo contrastare gli effetti negativi della crisi sviluppando azioni di resilienza.
Di storie di agricoltura femminile che raccontano tutto questo ce ne sono tante, tutte sorprendenti. Insieme a Biorfarm, la prima comunità agricola digitale attraverso cui si può adottare un albero supportando i piccoli agricoltori e ricevere a casa prodotti agricoli biologici direttamente dal contadino, ne abbiamo raccolte due, in due capi opposti dell’Italia, accomunate però da tenacia, inventiva, coraggio, sensibilità.
Per esempio c’è la storia delle donne dell’azienda agricola Famiglia Ferri/Le Zilli , ovvero di Carmen e delle sue figlie Cinzia e Marianna che vivono a Castel Rozzone (Bg). Cinzia studia lingue e si trasferisce per un anno in Cina dove scopre e si innamora del bambù, in particolare degli usi alimentari di questa pianta. Marianna, che in quel momento sta frequentando la Scuola internazionale di cucina Alma, la raggiunge in Asia per un breve periodo e rimane anche lei affascinata dal bambù. Tornate in Italia, le sorelle sono decise a piantare un bambuseto e coinvolgono la mamma che viene travolta dal loro entusiasmo. Insieme scommettono sul bambù, una pianta poco conosciuta in Italia (ad eccezione della varietà gigante), ma dalle numerose proprietà. “In primis il bambù contiene silicio, benefico per la struttura ossea – spiega Carmen – inoltre essendo un vegetale non contiene grassi e allergeni. E poi a livello ambientale è una coltivazione sostenibile: cattura il massimo di anidride carbonica, non ha bisogno di diserbanti chimici, non necessita di molta acqua perché le canne ne trattengono in abbondanza. È una pianta che non deve essere continuamente piantata e che vive anche oltre cento anni”.
Racconta ancora Carmen: “Accanto all’idea di coltivare bambù c’è stata subito la volontà di farlo in modo biologico, coerenti con la nostra sensibilità ecologica e il nostro stile alimentare sano”. Le tre donne affittano un campo a Treviglio (Bg), vicino a dove abitano, e piantano alcune varietà di bambù, in particolare la varietà Iridescens per i germogli, che si possono consumare crudi, e la varietà Sasa per la cosmetica, la farmaceutica, infusi e tisane e per le foglie commestibili da cui ricavare una farina con cui produrre, ad esempio, pane e pasta senza glutine (ma anche il panettone di Natale). Oggi, a distanza di cinque anni, i bambuseti sono diventati due e l’azienda agricola di Carmen ha continue richieste di bambù. Quando è il momento della raccolta o della potatura, la famiglia coinvolge nei lavori cooperative sociali che aiutano persone svantaggiate. Con loro hanno realizzato anche un progetto di economia circolare contro la plastica, ovvero una cannuccia 100 per cento in bambù, biodegradabile e compostabile, prodotta con gli scarti della potatura delle canne. Il valore aggiunto dell’azienda agricola Famiglia Ferri/Le Zilli non è solo nell’essere tre donne, ma anche di appartenere a generazioni diverse: “Le ragazze hanno le idee, mi travolgono con la loro carica vitale e la loro positività, io seguo la parte burocratica e ci metto la mia esperienza”. Nel frattempo Cinzia è diventata sommelier e vanta esperienze in ristoranti stellati di tutta Italia, Marianna lavora in un ristorante come cuoca. Il tempo libero lo trascorrano nel bambuseto a passeggiare, a contatto con la natura. “Adesso il nostro sogno è quello di mettere qualche animale nei campi e creare una fattoria didattica per accogliere i più piccoli, come quella volta che abbiamo ospitato un gruppo di bimbi e abbiamo creato con loro dei flauti con le canne di bambù. Non abbiamo al momento la possibilità di costruire una struttura per l’accoglienza, ma ci inventeremo qualcosa, magari un camper o un campo tendato!”.
Da Bergamo voliamo a Salerno. Ecco la Piana del Sele, la Famiglia Dell’Orto da cinquant’anni dedita alla coltivazione di albicocche, cinque figli che oggi continuano l’attività. Da una parte i fratelli impegnati nella coltivazione e raccolta dei frutti, dall’altra le sorelle, capofila Antonella, che allargano le attività dell’azienda agricola: l’agriturismo, la fattoria didattica, la trasformazione del prodotto. “Tutto è iniziato quando mio padre negli anni ’70 ha deciso di lasciare la città e di trasferirsi in campagna per fare l’agricoltore. Noi figli oggi proseguiamo l’attività e lo facciamo in modo diverso da come succede qui nella Piana, dove si pratica tanta agricoltura intensiva e dove i frutteti sono scomparsi a favore delle serre. Abbiamo voluto convertire l’azienda al biologico, una scelta che affonda le sue radici nel legame della nostra famiglia con la terra, nel rispetto che abbiamo per la natura. È una visione, una vocazione e, anche se dobbiamo rinunciare a qualche guadagno, siamo contenti perché abbiamo un prodotto di maggiore qualità la cui coltivazione favorisce l’ambiente, la fauna selvatica e la vegetazione spontanea”.
Una sensibilità questa che, conferma Antonella, è soprattutto femminile: “Le donne sono tradizionalmente responsabili dell’alimentazione della famiglia, sono più attente quando fanno la spesa, e mai come adesso stiamo avvertendo l’esigenza di operare un cambiamento. Il mondo ce lo sta chiedendo, ci sta implorando”. Antonella e le sorelle perseguono con convinzione anche l’idea della multifunzionalità aziendale: “Abbiamo da poco prodotto un liquore all’albicocca che abbiamo dedicato a nostro padre e abbiamo provato a realizzare degli alberi di Natale ecosostenibili con gli scarti della potatura. Ci piacerebbe poi poter proporre un turismo sempre di più di tipo esperienziale qui in azienda. Ci siamo associate a Biorfarm anche per trovare un contatto diretto con le persone, un rapporto di fiducia, uno scambio di esperienze, e il successo che stiamo avendo ci fa credere in quello che facciamo, nella diversificazione dell’attività dell’azienda. Chissà un giorno, passato questo momento di emergenza sanitaria, ci piacerebbe che chi adotta i nostri alberi possa venire qui a raccogliere le albicocche direttamente”.
Se queste storie al femminile vi sono piaciute, entrando nella comunità di Biorfarm ne scoprirete tante altre (insieme a tanti altri prodotti bio). Come quella di Sonia, prima di quattro sorelle che in Valtellina coltiva mirtilli (e ne fa marmellate con la ricetta della nonna) condividendo il suo piccolo mondo con le api; o quella di Antonia, tecnologa alimentare, che in Puglia produce uva e olio extravergine bio; o, ancora, in Sicilia, quella di Rosa che coltiva fichi d’India con tecniche antiche tramandate di generazione in generazione e quella di Maruzza, agronoma nell’agrumeto e oliveto di famiglia che, grazie ai suoi studi, ha introdotto in azienda anche la coltivazione di mango e avocado; infine, quella di Stefania che, in provincia di Viterbo, ha installato un impianto fotovoltaico nel frantoio di famiglia e partecipa a un progetto di monitoraggio della CO2 nelle aziende olivicole per giungere a compensarle. Ecco cosa sanno fare le donne in agricoltura!
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Nella Bassa California, la cooperativa Guardianas del Conchalito sta salvando la zona umida costiera di La Paz, dando un contributo alla mitigazione del clima e all’indipendenza delle donne.
Secondo uno studio, le antocianine che donano ai vegetali i colori rosso, viola e blu si distinguono per il loro effetto protettivo contro i danni da microplastiche all’apparato riproduttivo.
La Nascetta è l’unico vitigno bianco autoctono delle Langhe, ma era stato abbandonato nel dopoguerra perché coltivarlo non è facile. Ora c’è chi ci sta riprovando, con successo.
Uno studio ha evidenziato un’associazione tra un maggiore consumo di yogurt e tassi più bassi di cancro al colon prossimale.
L’aderenza alla dieta mediterranea è stata associata dai ricercatori a una salute cerebrale ottimale, con una migliore integrità della sostanza bianca, riduzione dell’infiammazione e dello stress ossidativo.
In Italia lo spreco di cibo è cresciuto, basterebbe però che ognuno di noi lo tagliasse di 50 grammi ogni anno per raggiungere l’obiettivo dell’Agenda 2030.
Dalla crema di ceci e bergamotto al burger di fagioli neri, ecco 5 idee per portare in tavola i legumi, buoni per noi e per il Pianeta.
Nonostante le varie forme di greenwashing, il mercato del bio in Italia resiste e cresce. I dati del Rapporto Bio Bank 2024.
Il giudice ha dato ragione a Greenpeace: entro il 2030 i Paesi Bassi dovranno abbassare i livelli di azoto in metà delle aree interessate dall’inquinamento.