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Lo rivela uno studio internazionale sottolineando che per contenere il riscaldamento globale occorre ridurre l’uso eccessivo di fertilizzanti.
Oltre a provocare l’acidificazione del suolo e la perdita di biodiversità, i fertilizzanti azotati sintetici sono responsabili del 2,1 per cento delle emissioni globali di gas serra: a dirlo è uno studio internazionale condotto da ricercatori dell’Università di Torino e dei laboratori di Greenpeace all’Università di Exeter (Regno Unito) e pubblicato su Scientific reports.
Gli studiosi hanno analizzato non solo l’utilizzo in agricoltura dei fertilizzanti, che porta al rilascio di protossido di azoto (N₂O), un gas serra 265 volte più potente dell’anidride carbonica, ma anche la produzione e il trasporto delle sostanze chimiche, che sono responsabili delle emissioni di CO2.
Secondo i risultati dello studio la filiera dei fertilizzanti azotati sintetici è stata responsabile dell’emissione di 1,13 gigatonnellate di CO₂ nel 2018 che rappresentano il 10 per cento delle emissioni agricole e il 2,1 per cento delle emissioni globali di gas serra.
In particolare, il 38,8 per cento del totale delle emissioni associate a queste sostanze chimiche proviene dalla produzione, il 58,6 per cento dall’utilizzo nei campi, mentre il 2,6 per cento dal trasporto. I primi quattro emettitori – Cina, India, Stati Uniti e Ue28 (i Paesi dell’Unione europea più il Regno Unito) – hanno rappresentato il 62 per cento del totale delle emissioni.
“Il sistema agroalimentare globale si affida all’azoto sintetico per aumentare la resa dei raccolti, ma l’uso di questi fertilizzanti è insostenibile”, ha spiegato Reyes Tirado, dei laboratori di ricerca di Greenpeace. “Le emissioni potrebbero essere ridotte senza compromettere la sicurezza alimentare. In un momento in cui i prezzi dei fertilizzanti sintetici stanno salendo alle stelle, riflettendo la crisi energetica, ridurne l’uso potrebbe giovare agli agricoltori e aiutarci ad affrontare la crisi climatica”.
E questo vale ancora di più se si considera che, come spiegato dagli studiosi, nella maggior parte dei casi le sostanze chimiche sono utilizzanti in maniera eccessiva.
Non c’è dubbio, si legge nello studio, che le emissioni dei fertilizzanti sintetici azotati devono essere ridotte se si vuole raggiungere l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali. Le previsioni, al contrario, danno l’uso dei fertilizzanti in crescita: la Fao stima un aumento del loro utilizzo del 50 per cento entro il 2050.
“Abbiamo bisogno di un programma globale per ridurre l’uso complessivo dei fertilizzanti e aumentare l’efficienza del riciclo dell’azoto nei sistemi agricoli e alimentari”, ha dichiarato Stefano Menegat dell’Università di Torino. “Possiamo produrre cibo a sufficienza per una popolazione in crescita con un contributo molto minore alle emissioni globali di gas serra, senza compromettere le rese”.
Il cambiamento dei modelli alimentari verso una riduzione della carne e dei prodotti lattiero-caseari potrebbe svolgere un ruolo centrale nella riduzione delle emissioni. Tre quarti dell’azoto della produzione vegetale, infatti, sono attualmente destinati alla produzione di mangimi per il bestiame a livello globale. E a questo potrebbe accompagnarsi l’aumento di pratiche agricole come la tecnica del sovescio per rigenerare il terreno o il riciclo del letame degli allevamenti come fertilizzante naturale.
A proposito di fertilizzanti naturali, di recente, alcuni ricercatori dell’Università Cattolica di Piacenza hanno sviluppato un fertilizzante azotato ecologico dagli scarti della filiera alimentare, in particolare dagli scarti della produzione dei batteri lattici che attualmente vengono smaltiti in impianti di depurazione.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Land: attraverso esperimenti su coltivazioni di pomodoro e lattuga, gli scienziati hanno dimostrato che l’uso di questo fertilizzante – ottenuto con una pratica di economia circolare e in grado di nutrire contemporaneamente la pianta, i batteri nel suolo e il suolo stesso – può ridurre del 30 per cento il quantitativo di fertilizzanti chimici azotati, senza diminuire la produzione e migliorando anche alcune caratteristiche fisiologiche della pianta. Inoltre, esso consentirebbe di ridurre del 40 per cento le emissioni di gas serra associate alla produzione dei fertilizzanti chimici.
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