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La maggioranza delle medie e grandi città italiane ha diversi elementi in comune: la storia, i paesaggi, il patrimonio culturale e l’autenticità. Ma, purtroppo, anche il rumore. Sappiamo che l’inquinamento atmosferico è una costante per le nostre città, inverno dopo inverno sentiamo parlare di concentrazioni allarmanti di polveri sottili, dei superamenti dei limiti di legge
La maggioranza delle medie e grandi città italiane ha diversi elementi in comune: la storia, i paesaggi, il patrimonio culturale e l’autenticità. Ma, purtroppo, anche il rumore. Sappiamo che l’inquinamento atmosferico è una costante per le nostre città, inverno dopo inverno sentiamo parlare di concentrazioni allarmanti di polveri sottili, dei superamenti dei limiti di legge in tanti centri urbani, di provvedimenti tampone per limitare il traffico veicolare e di mancate soluzioni per risolvere questo problema. Al pari dell’inquinamento atmosferico c’è un altro tipo di inquinamento che accomuna ancor di più il nostro Paese da nord a sud: l’inquinamento acustico. Ma nessuno ne parla.
Eppure, è un problema che riguarda da vicino una considerevole fetta della popolazione della Penisola. Per l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), in tutto il mondo sono quasi sei milioni (il 10 per cento della popolazione) i cittadini esposti al rumore prodotto dal traffico stradale a livelli giornalieri inaccettabili. E non è solo un fastidio per le nostre orecchie che non ci permette di concentrarci o rilassarci, ma è anche un serio problema sanitario. In Europa, l’esposizione al rumore eccessivo disturba il sonno di almeno 8 milioni di persone oltre che causare la morte prematura di 10mila persone. Ci sono poi circa 900mila casi di ipertensione legati all’esposizione al rumore e 43mila ricoveri ospedalieri per ictus e malattie coronariche, ogni anno.
Per questo motivo, il Treno Verde 2017 di Legambiente e Ferrovie dello stato italiane ha voluto portare avanti una campagna di monitoraggio del rumore nelle 11 città tappa del tour. I dati che sono stati analizzati fino adesso non ci sorprendono, purtroppo, e sono in linea con i monitoraggi che Legambiente effettua da più di 25 anni in diverse città italiane. Su 40 rilevamenti nelle prime 8 città italiane monitorate dal convoglio ambientalista (Catania, Paola, Potenza, Salerno, Foligno, Pescara, Bologna, Vicenza), nessun dato è risultato al di sotto dei limiti che impone la legge in termini di decibel.
Nessuno ne parla e, soprattutto, nessuno fa nulla. La legge che disciplina i limiti di esposizione al rumore c’è. Eppure i monitoraggi da parte delle autorità preposte sono del tutto carenti. “Insufficienti, puntuali e relativi solo ad alcune realtà territoriali”, questo si legge sull’annuario dei dati ambientali Ispra 2015, rispetto ai dati attualmente disponibili sulla popolazione esposta. Insufficiente è l’aggettivo giusto anche rispetto all’attuazione degli strumenti normativi atti alla riduzione e al controllo dell’inquinamento acustico.
Quello che invece non manca mai al nostro Paese sono le multe. Infatti, a causa del mancato rispetto della normativa comunitaria relativa ai livelli di inquinamento acustico (2002/49/CE), l’Italia si è meritata una procedura d’infrazione da parte dell’Unione europea. Esattamente com’è avvenuto per la mancata ottemperanza alle normative relative all’inquinamento atmosferico. Inutile dire che affrontare seriamente il problema dell’inquinamento atmosferico significa anche ridurre il rischio dell’inquinamento acustico. Sono evidentemente due lati di un problema sul quale non ci sono più alibi: deve diventare un priorità del governo, nazionale, regionale e locale, attraverso un coordinamento forte e permanente. Perché ne va della nostra salute e della nostra qualità della vita.
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