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Le lobby delle produzioni animali tentano di frenare la diffusione dei prodotti vegetali, nonostante gli esperti chiedano di ridurre il consumo di carne.
Da diverso tempo le lobby delle produzioni animali cercano di frenare la diffusione dei prodotti vegetali in molti modi. Uno tra questi, è quello di limitare le loro possibilità di marketing e di posizionamento con i consumatori con l’introduzione di severe restrizioni sulla denominazione. Basti pensare al divieto di usare termini come “latte”, “burro” o “formaggio” per pubblicizzare prodotti vegetali, imposto in Europa già a partire dal 2007.
E più cresce il mercato dei prodotti vegetali, più crescono i timori e le azioni per contrastarlo. Nel 2020 per esempio abbiamo contribuito a fermare il cosiddetto “burger ban”, una votazione che avrebbe portato a una vera e propria censura nei confronti di termini come “burger vegan” o “salsiccia vegetariana”. Fortunatamente, il voto degli europarlamentari ha scongiurato l’introduzione dell’emendamento 165 che avrebbe riservato l’utilizzo esclusivo di parole come “bistecca”, “salsiccia” o “burger”, ai prodotti che contengono carne.
All’inizio del 2021 un’altra vittoria: l’Unione europea ha votato per fermare ulteriori restrizioni alla denominazione delle alternative vegetali al latte previste dall’emendamento 171. Se fosse passato il “dairy ban”, non sarebbe stato possibile utilizzare termini evocativi del latte vaccino, come “cremoso”, “non contiene lattosio/latte”, “milk-free” sulle confezioni dei prodotti vegetali alternativi al latte e latticini.
Sapevamo che di fronte a questo flop le lobby dell’industria della carne e quella dei prodotti lattiero-caseari non si sarebbero fermate e avrebbero portato le stesse richieste nei parlamenti nazionali. E oggi purtroppo la Francia è la prima nazione europea ad adottare una simile legislazione e vietare termini tradizionali di prodotti animali (con eccezione per la parola burger). Il divieto, votato qualche giorno fa, entrerà in vigore a ottobre.
La contraddizione della legge è che si applicherà solo per i prodotti francesi e non su quelli importati. Per questo c’è chi dice che sarà solo controproducente e frenerà la crescita di un settore interno. E per lo stesso motivo l’industria della carne francese vuole riportare ancora una volta la discussione a Bruxelles, in modo da scongiurare l’ingresso nel paese dei temutissimi prodotti vegetali dai nomi simili alla tradizione.
Quello francese purtroppo non è un caso isolato, visto che poco prima una legge simile è stata votata anche in Sudafrica. Non sarà quindi possibile parlare di “polpette veg” o di “straccetti chicken style”, impedendo ai consumatori che vogliono scegliere prodotti vegetali di avere accesso a informazioni sulla qualità del prodotto e il suo utilizzo.
In Turchia è successo invece qualcosa di ancora peggiore: il ministero dell’Agricoltura si è spinto ancora più lontano ed è arrivato a vietare la produzione e la vendita di formaggi vegetali – quindi cibi simile al formaggio ma a base veg. Contro questa decisione autoritaria e insensata – che porterà alla chiusura di alcune aziende – è stata anche lanciata una petizione e si stanno mogilitando aziende e organizzazioni insieme.
Leggi come queste, che puntano a ridimensionare e ghettizzare il mercato delle alternative vegetali, vanno in direzione del tutto contraria a ciò di cui abbiamo bisogno adesso. Gli scienziati del clima, non ultimi gli autori del report Ipcc, non fanno altro che chiedere a gran voce una riduzione della produzione di carne e altri prodotti animali per il bene dell’umanità e delle future generazioni. Nonché politiche che incoraggino un’alimentazione vegetale, piuttosto che il contrario.
Censurare o ostacolare la vendita di prodotti a base vegetale è un modo per tenere in piedi uno status quo che non è altro che un sistema anacronistico e insostenibile: le lobby della carne e del latte sono rette da sussidi, tassazione ridotta e milioni di euro di fondi pubblici destinati al sostegno della promozione dei loro prodotti.
I prodotti vegetali devono al contrario competere reggendosi sulle proprie gambe in uno scontro impari: con restrizioni nella denominazione, senza sussidi, con un’Iva spesso pari a quella dei prodotti di lusso e prezzi che, quindi, faticano a essere competitivi. Nonostante tutti questi ostacoli, il settore dei sostituti vegetali sta crescendo sempre di più, a significare che questa è la strada del futuro che i governi dovrebbero sostenere. A costo di qualche lamentela da parte delle lobby.
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