In un mondo più caldo rischiamo di perdere 80 milioni di posti di lavoro

Le ondate di calore e il caldo eccessivo ci faranno lavorare meno e in maniera meno produttiva, già nel 2030. L’agricoltura il settore maggiormente colpito, ma avremo problemi nel turismo, nella raccolta dei rifiuti, nell’edilizia.

Con un aumento delle temperature di 1,5°C entro la fine del secolo, la società perderà il 2,2 per cento delle ore lavorative, equivalenti a 80 milioni di posti di lavoro a tempo pieno. Un’enormità che costerà all’economia mondiale oltre 2 miliardi di euro. A rivelarlo è l’ultimo rapporto delll’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) che sottolinea inoltre come le stime siano “prudenti” visto che le proiezioni prendono in considerazione un aumento minimo, quello considerato dall’Accordo di Parigi.

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Il settore maggiormente colpito, a livello globale, sarà l’agricoltura © Majid Saeedi / Stringer

Il settore ad essere maggiormente colpito, a livello globale, sarà l’agricoltura, che oggi impegna oltre 940 milioni di persone, a livello globale. Il rapporto “Lavorare in un pianeta più caldo: l’impatto dello stress da calore sulla produttività del lavoro e il lavoro dignitoso”, sottolinea come il 60 per cento delle ore lavorative andranno perse già nel 2030. Ad essere colpiti saranno anche settori come l’edilizia, quello della raccolta rifiuti, dell’emergenza, dei trasporti e del turismo, senza contare alcuni settori industriali.

Cosa significa lavorare in un mondo più caldo

Nel rapporto si spiega che lo stress da calore si ha solitamente a temperature maggiori o uguali a 35°C e con un tasso di umidità elevato. In questo caso il corpo umano può subire un danno fisiologico, ancor più se sottoposto a sforzi fisico. Il caldo eccessivo inoltre limita le funzioni e le capacità fisiche dei lavoratori e, quindi, la produttività. In casi estremi può portare al colpo di calore, che può rivelarsi fatale. Ciò che il rapporto sottolinea è che in un mondo più caldo non potranno che aumentare le migrazioni in massa di persone costrette a lasciare le zone rurali a causa della mancanza di altre opportunità.

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Nel rapporto si spiega che lo stress da calore si ha solitamente a temperature maggiori o uguali a 35°C e con un tasso di umidità elevato © Sean Gallup/Staff

“L’impatto dello stress da calore sulla produttività del lavoro è una seria conseguenza dei cambiamenti climatici, che si aggiunge ad altri impatti negativi come la variazione dei periodi piovosi, l’innalzamento del livello dei mari e la perdita di biodiversità”, ha detto Catherine Saget, capo unità del Dipartimento di ricerca dell’Ilo e uno dei principali autori del rapporto in una nota. “Oltre ai massicci costi economici dello stress da calore, possiamo aspettarci di vedere più disuguaglianze tra paesi a basso e alto reddito e un peggioramento delle condizioni di lavoro per i più vulnerabili, così come un maggior numero di persone che si sposteranno. Per adattarsi a questa nuova realtà sono necessarie misure appropriate da parte di governi, dei datori di lavoro e dei lavoratori stessi, incentrate sulla protezione dei più deboli”.

In un mondo più caldo sarà così necessario anche ripensare l’idea stessa di “lavoro”, che sarà meno produttivo, probabilmente più faticoso, e con rilevanti impatti sociali.

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