1,6 miliardi di euro per 20mila tonnellate di diesel riversate in un fiume russo. È la sanzione comminata a Norilsk Nickel che non farà ricorso in appello.
Il fiume Ambarnaya, nella Siberia settentrionale, che si tinge di rosso. È successo il 29 maggio 2020 quando sono rovinosamente crollati i piloni su cui si reggeva un enorme sito di stoccaggio di carburante. Più di 20mila tonnellate di diesel sono state riversate nelle acque, numeri che lo attestano come il più grande sversamento di idrocarburi mai verificatosi nell’Artide. Ora è ufficiale che il colosso minerario Norilsk Nickel, che gestiva il sito attraverso una sua controllata, pagherà per questo disastro ecologico. E pagherà una somma di tutto rispetto: 1,6 miliardi di euro.
Il Servizio federale per la supervisione delle risorse naturali (Rosprirodnadzor), che fa capo al ministero delle Risorse naturali russo, aveva chiamato Norilsk Nickel a rispondere in tribunale di questo gravissimo episodio. Si tratta di una delle società minerarie e metallurgiche più importanti nel panorama internazionale, prima produttrice mondiale di palladio e nickel pregiato, con quasi 13 miliardi di euro di ricavi annui.
Valutati i danni ambientali, la corte a febbraio 2021 l’ha condannata a pagare 146,2 miliardi di rubli, cioè circa 1,6 miliardi di euro. Una cifra leggermente inferiore rispetto agli 1,8 miliardi che erano stati chiesti dal Rosprirodnadzor, ma che rappresenta comunque la sanzione per danni ambientali più alta mai comminata in Russia. Dopo aver contestato a più riprese le cifre, ora Norilsk Nickel annuncia di non avere intenzione di fare ricorso in appello. Una scelta inusuale, commenta la testata francese Novethic, visto che di solito sentenze di questo tipo vengono impugnate.
A catastrophe is taking place right before our eyes. The diesel spill in Norilsk has become the first accident of such a scale in the Arctic. 20 thousand tonnes of diesel fuel have been spilled in local rivers. pic.twitter.com/PXEXkTuACE
Sul permafrost sono stati costruiti sistemi di stoccaggio di petrolio, oleodotti, gasdotti, reattori nucleari. Di conseguenza, la fusione dei ghiacci nei siti petroliferi della Siberia occidentale provoca, da sola, addirittura 7.400 incidenti l’anno. Queste stime sono state condivise con LifeGate da Greenpeace Russia lo scorso giugno.
“Alcuni episodi non figurano nemmeno nelle statistiche ufficiali, ma se l’azienda non riesce a nascondere lo sversamento, a quel punto il risarcimento per i danni e l’ammontare delle sanzioni spesso non corrisponde alle gravi conseguenze per l’intero ecosistema”, sottolinea Elena Sakirko, a capo del dipartimento per l’energia di Greenpeace Russia. Tanto più quando tali disastri succedono nelle terre dei popoli indigeni, il cui stile di vita è legato a doppio filo allo stato di salute delle risorse naturali. In questo quadro, la decisione del tribunale russo stabilisce “un precedente che può aiutare a risolvere davvero i problemi ambientali a un livello di sistema”.
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