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L’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato ha imposto ad Amadori di modificare la comunicazione sugli allevamenti di polli italiani, giudicata “potenzialmente idonea a trarre in inganno il consumatore”.
L’industria zootecnica basa il suo modello di business sull’omissione di alcune verità, e cerca di impedire che il consumatore sappia realmente come la carne viene prodotta. Per questo continua a somministrargli pubblicità rassicuranti che parlano di animali felici e ben nutriti, che conducono esistenze idilliache in ambienti rurali color pastello. Talvolta, però, questa fragile e patinata facciata che cerca di celare l’orrore degli allevamenti viene smascherata. È il caso di Amadori, nota azienda agroalimentare italiana specializzata nel settore avicolo, che ha dovuto modificare la comunicazione sugli allevamenti di polli poiché ritenuta ingannevole.
Lo ha stabilito l’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato (Agcm), che ha valutato la pubblicità di Amadori sulla carne di pollo “contraria alla diligenza professionale e potenzialmente idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio in relazione alle caratteristiche dei prodotti”. All’azienda romagnola, in particolare, sono state contestate le informazioni sulla filiera di pollo italiano rivolte al pubblico diffuse attraverso il sito internet aziendale.
Nel proprio portale Amadori pubblicizzava, con particolare enfasi, l’impegno della cooperativa nel garantire le migliori condizioni di benessere animale in ogni fase della filiera. In questo modo, secondo quanto sancito dall’Agcm, Amadori sembrava suggerire che tutti i polli allevati godessero delle “migliori condizioni di benessere animale”, quando invece particolari riguardi sono riservati esclusivamente a due linee di prodotto di nicchia: pollo campese e pollo 10+. Anche per quanto riguarda i polli che dovrebbero godere di migliori condizioni di detenzione, quelli 10+, la comunicazione di Amadori si è rivelata ingannevole. Il claim promozionale recitava infatti “maggiore spazio in allevamento rispetto ai limiti di legge”, mentre le indagini hanno dimostrato che l’azienda si limitava, come riportato dall’Agcm, ad una “mera osservanza del limite di densità massima – pari a 33 kg/mq”.
Amadori, come previsto dal Codice del consumo, si è impegnata a correggere le informazioni false riportate sul proprio sito, in una nota ha tuttavia accusato le associazioni per i diritti degli animali di aver strumentalizzato la vicenda. L’azienda riferisce inoltre “che nessuna infrazione è stata accertata dall’Autorità Garante”, spiegando di aver “accolto le indicazioni di Agcm e fatto integrazioni alla pubblicazione online con l’obiettivo di migliorare ulteriormente la chiarezza dei messaggi del proprio sito internet aziendale sul benessere animale, pur ritenendo di aver già adempiuto ad ogni dovere di chiarezza di informazioni verso il consumatore”.
La decisione dell’Agcm, arrivata in seguito al procedimento iniziato a ottobre 2018, è frutto della denuncia di Enpa, integrata grazie alle investigazioni del team italiano di Animal Equality. Nell’ottobre del 2017 Animal Equality aveva infatti denunciato pubblicamente le condizioni raccapriccianti dei polli allevati in alcuni stabilimenti italiani, tra cui quello Amadori. Dopo mesi di investigazioni sotto copertura l’associazione aveva pubblicato un video che mostrava i lager per polli, da cui proviene circa il 95 per cento della carne di pollo italiana. Le immagini mostravano animali stipati a decine di migliaia in capannoni chiusi, polli con deformazioni alle zampe, gravi problemi respiratori o affezioni cutanee, carcasse in avanzato stadio di decomposizione tra gli animali vivi e violenze degli operatori sugli uccelli.
Il provvedimento dell’Agcm rappresenta indubbiamente un’importante notizia per i consumatori, che hanno diritto ad una comunicazione più trasparente dal settore alimentare italiano. “Si tratta di un passo avanti fondamentale – ha commentato Matteo Cupi, direttore esecutivo di Animal Equality Italia – dimostra l’importanza delle investigazioni e soprattutto il fatto che possano sussistere diversi casi in cui vi è una discrepanza notevole tra ciò che viene comunicato e la realtà”. La notizia potrebbe non fare molta differenza per i polli, non crediamo gli importi granché sapere in che modo viene reclamizzata la loro carne, però potrebbe contribuire a modificare le abitudini dei consumatori, portandoli a eliminare o ridurre il consumo di carne o a smettere di acquistare carne proveniente da allevamenti intensivi.
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