Bontà svelata

7 curiosità sulla pasta e sulle sue origini

La pasta per noi italiani è sempre una certezza. Con la pasta ci cresciamo, ma anche se la conosciamo bene, non diamola per scontata. Perché può sempre sorprenderci e un piatto può raccontare mille storie, come queste.

La pasta è il simbolo del nostro Paese e della dieta mediterranea. Nelle nostre case non manca mai, la cerchiamo quando siamo lontani. La pasta è famiglia, è cultura, è buon cibo. Ma quali sono le sue origini? E quante cose non sappiamo sulla pasta?

1 La prima pasta è l’antenata delle lasagne

Difficile affermare con certezza quale popolo, e quando, abbia inventato la pasta. Di certo è un alimento di origini antiche e della tradizione mediterranea. Una prova, la prima, dell’esistenza della pasta già nell’antica Grecia si trova in una delle opere del commediografo Aristofane che nel V secolo a.C. descrive un tipo di pasta simile ai ravioli così come li conosciamo oggi. Negli scritti degli autori dell’Impero Romano si trovano spesso citate invece le “lagane”, descritte come simili alle attuali lasagne, ovvero un impasto di acqua e farina di grano duro tagliato a strisce più o meno larghe e poi farcite con verdure o carne. Ne parlano, tra gli altri, il poeta Orazio vissuto nel I secolo a.C e lo scrittore Apicio a cui è attribuito il De Re Coquinaria, una sorta di ricettario della cucina romana del I secolo d.C. (fonte Treccani).

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La pasta compare prima sotto forma di “lagana”, simile alla lasagna di oggi © Ingimage

2 I primi a cucinare la pasta di grano secca furono gli arabi

Con la caduta dell’Impero Romano, le tracce della pasta si perdono per qualche centinaio di anni fino a quando questo alimento viene riscoperto dagli arabi. Fino ad allora la pasta di grano era un alimento esclusivamente fresco; nel IX secolo, in Africa settentrionale la pasta veniva invece fatta essiccare al sole per ridurne il contenuto d’acqua e renderla più duratura. L’invenzione della pasta secca deriva, come detto, dalla necessita di ottenere un prodotto che potesse essere conservato più a lungo, in particolare durante gli spostamenti e i viaggi esplorativi: fonte di energia e sostanze nutritive, era l’alimento perfetto per chi doveva affrontare lunghi viaggi, leggera da trasportare e poco deteriorabile. Oltre a cucinare per primi la pasta secca, gli arabi ne diffondono il consumo in Sicilia e nel Mediterraneo durante la loro dominazione. Dalla macinazione del grano e dei cereali, che crescevano in abbondanza sull’isola, si ricavava la farina e da quella la pasta che, come racconta nel 1154 lo storico arabo al-Idrisi, veniva fatta seccare in una forma a fili che potrebbe essere considerata l’antenata degli spaghetti (fonte Treccani).

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L’invenzione della pasta secca deriva dalla necessita di ottenere un prodotto che potesse essere conservato più a lungo © Pexels

3 La pasta, un piatto (anche) dolce

Alla fine del XV secolo la pasta viene prodotta in Sicilia, Liguria, Campania, ma il suo consumo è limitato ai ceti più ricchi che possono permettersi il suo costo elevato. Viene consumata con verdure e carne, ma anche con abbinamenti agrodolci. In documenti storici che narrano di alcuni banchetti di benestanti partenopei si descrivono pietanze come i maccheroni napoletani di pasta reale fritti con miele e zucchero oppure cotti nel latte con burro e cannella. Una prova che la voce italiana “maccheroni” designasse un dolce si ha nella forma francese in cui venne declinata, macaron, per indicare un raffinato pasticcino (fonte Forse non tutti sanno che a Napoli…, Maurizio Ponticello).

4 La scoperta del pomodoro e l’invenzione della forchetta

Nel XVII secolo grazie alla meccanizzazione di alcuni processi produttivi, la produzione della pasta si amplia, i prezzi si riducono e si diffonde un consumo più ampio. In questo periodo a Napoli arriva anche il pomodoro che inizialmente viene utilizzato solo come pianta ornamentale, ma che presto si scopre delizioso in abbinamento alla pasta. La pasta col pomodoro viene consumata dai ceti meno abbienti: viene venduta in strada a basso costo e mangiata su pezzi di carta con le mani. Solo quando un ciambellano della corte del Regno di Napoli, Gennaro Spadaccini, inventa la forchetta, o meglio ha l’idea di produrla con quattro rebbi invece dei due con cui era conosciuta fino ad allora, anche i nobili iniziano a mangiare la pasta al pomodoro (fonte Treccani).

Leggi anche: 7 falsi miti sulla pasta, sfatati dalla scienza

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Solo quando un ciambellano della corte del Regno di Napoli ha l’idea di produrre la forchetta con quattro rebbi anche i nobili iniziano a mangiare la pasta al pomodoro © Mae Mu on Unsplash

5 Anticamente si impastava con i piedi

Pensare alla preparazione della pasta ci riporta all’immagine delle mani che impastano acqua e farina, un gesto che è quasi un rituale in cui molti, oggi, ritrovano anche una fonte di rilassamento contro lo stress e i ritmi frenetici della quotidianità. Un tempo, invece, la pasta veniva lavorata anche coi piedi nella convinzione di ottenere un impasto di qualità sopraffina. Siamo nella Napoli del Settecento e dei primi anni dell’Ottocento dove gli operai addetti alla produzione di pasta lavorano l’impasto camminandoci sopra. Una pratica che però viene sospesa per motivi igienici nel 1833 dal re Ferdinando II di Borbone che incarica un ingegnere di trovare un metodo alternativo per produrre la pasta. Così viene ideato il sistema dell’uomo di Bronzo, una macchina in grado di sostituire il movimento degli operai (fonte L’Italia della pasta, Cristina Ortolani).

6 Gragnano, la Città della Pasta

Per molti, pasta vuol dire Gragnano. La storia che lega questo comune in provincia di Napoli alla pasta ha origini antiche. Alla fine del XVI secolo nacquero sul territorio i primi pastifici a conduzione familiare, fra questi, un noto pastificio cresciuto nel tempo e tuttora in attività che nulla ha perso della qualità di un tempo, anzi, l’ha moltiplicata. Di consolidare il legame tra Gragnano e l’alimento simbolo della tavola italiana si occupa re Ferdinando II di Borbone quando, il 12 luglio del 1845 concede ai pastifici gragnanesi l’alto privilegio di fornire la corte di tutte le paste lunghe. Da allora Gragnano diventò la Città dei Maccheroni. A metà dell’800 i pastifici sono più di cento e producono oltre mille quintali di pasta al giorno: le vie della città più esposte al sole si riempiono di canne di bambù sistemate su cavalletti che reggono vermicelli e ziti posti ad essiccare. Nel XX secolo la concorrenza dei pastifici del nord diminuisce il numero di quelli di Gragnano, ma quelli rimasti puntano tutto sull’eccellenza, frutto dell’arte del saper fare la pasta tramandata da generazioni, dal clima leggermente umido di questo territorio tra montagna e mare che permette alla pasta di essiccare gradualmente, dall’acqua pura che sgorga dalle sorgenti del Monte Faito utilizzata per la produzione dell’impasto e dall’impiego della trafila in bronzo che conferisce alla pasta la giusta rugosità per trattenere il sugo. Dal 2003 il Consorzio Gragnano città della pasta difende e rilancia la tradizione di Gragnano, oggi prodotto Igp (fonte Gragnano città della pasta).

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Un’immagine storica della produzione di pasta a Gragnano ©www.consorziogragnanocittadellapasta.it

7 La qualità della pasta si giudica anche dall’aspetto

Come facciamo a sapere se una pasta è buona prima di mangiarla? Quando un produttore ci permette di osservarla ancora prima di comprarla, attraverso una confezione trasparente, completamente riciclabile, questo è già un primo segnale di qualità. Il pacchetto trasparente consente di verificare se una pasta ha la giusta porosità: questa è maggiore nei formati che devono legarsi al sugo, minore in quelli che vanno in brodo e non devono assorbire troppo il liquido. Se la pasta ha un aspetto ruvido significa che è trafilata al bronzo, il sistema migliore per trattenere il condimento; per altri tipi di pasta, come ad esempio i capellini, è più adatta una trafilatura al teflon, che rende il formato meno poroso e quindi più tenace quando è servito in brodo, come vuole la tradizione. Anche in questo caso il pacchetto trasparente consente di fare chiarezza. Veniamo al colore: la pasta raffinata deve avere un colore giallo ambrato omogeneo, senza puntini chiari o scuri. La presenza di puntini bianchi segnala un difetto nell’idratazione della semola; quella di puntini neri indica la presenza di frammenti di crusca non eliminati in macinazione. La pasta integrale di qualità deve avere un colore marrone omogeneo. Un colore chiaro con dei puntini più scuri potrebbe significare che ci troviamo in presenza di una pasta raffinata con l’aggiunta di crusca o cruschello, quindi ricostituita e non veramente integrale. Infine, c’è un altro tipo di “bontà” legata alla pasta: dipende dall’attenzione di chi la produce, se è sensibile alle tematiche ambientali e per esempio, utilizza fonti rinnovabili per gli impianti, packaging riciclati e riciclabili, uova di galline allevate a terra per la pasta fresca e scarti di lavorazione per produrre altri beni. In poche parole, una pasta è ancora più buona se è anche sostenibile.

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