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Per la prima volta, l’Osservatorio Waste Watcher segna una frenata nello spreco di cibo.Un fenomeno che riguarda 1,6 miliardi di tonnellate di alimenti.
Nel 2020, per la prima volta in dieci anni, lo spreco di cibo da parte degli italiani risulterebbe in calo: lo rivela l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Waste Watcher di Last Minute Market/Swg, che ha calcolato una tendenza del 25 per cento in meno rispetto al 2019. Tra il 2018 e il 2019 lo spreco di cibo reale in Italia era stato calcolato in 15 miliardi. Di questi, quasi 12 provenivano dal consumo domestico, per un totale di oltre 2 milioni di tonnellate di alimenti buttati (quasi 37 kg a testa), in primis frutta e verdura fresche, pane, formaggi e latticini. Il resto si perdeva nei campi (7,8 per cento), nell’industria (6,5 per cento) e nella distribuzione (7,4 per cento).
Secondo il Rapporto 2020, presentato il 5 febbraio scorso in occasione della settima Giornata nazionale contro lo spreco alimentare, risulta che nel 2020 il costo settimanale medio a famiglia dello spreco si sia invece attestato sui 4,91 euro per un totale di circa 6,5 miliardi (contro i 6,6 euro settimanali e 8,4 miliardi complessivi del 2019). Ma resta ancora molto da fare.
Solo l’anno scorso, infatti, lo spreco alimentare era al settimo posto nella classifica degli sprechi domestici, superando lo spreco di acqua (52 per cento), del tempo impiegato per gli spostamenti (25 per cento), di energia elettrica (24 per cento), di denaro (16 per cento) e di gas (7 per cento). Un italiano su tre, inoltre, dichiarava di non avere le idee chiare sulle fonti di buone pratiche per prevenirli. Ben sei italiani su dieci danno il proprio mandato alla sensibilizzazione scolastica per promuovere l’attenzione e la prevenzione negli sprechi alimentari attraverso l’inserimento dell’educazione ambientale tra le materie, magari come parte dell’educazione civica.
Per il 64 per cento degli intervistati è necessaria una lista della spesa prima di entrare al supermercato, ma anche congelare i cibi che non si mangeranno a breve (63 per cento); quindi fare attenzione a non cucinare più del necessario (51 per cento), riutilizzare gli avanzi e gli scarti dei pasti (49 per cento), verificare se i cibi sono davvero andati a male prima di buttarli (49 per cento), ordinare meglio il cibo nel frigo con attenzione alle scadenze (43 per cento).
Il tema, naturalmente, ha un impatto sociale ed economico, ma anche e soprattutto ambientale: secondo uno studio del 2016 dell’Agenzia transalpina per l’ambiente e l’energia (Ademe), per esempio i 10 milioni di tonnellate di cibo buttati ogni anno nella spazzatura in un Paese come la Francia equivalgono a 16 miliardi di euro, ma anche a 15,3 milioni di tonnellate di CO2: quelle che sono state necessarie per produrre generi alimentari che poi sono finiti nei cassonetti.
L’equivalente del 3 per cento di tutte le emissioni di gas a effetto serra del sistema produttivo francese in un anno. O, ancora, cinque volte quanto disperso nell’atmosfera da tutto il traffico aereo interno in 12 mesi.
Come confermato dalla Fao, nel mondo viene buttato circa un terzo della produzione totale di cibo destinata al consumo umano. 1,6 miliardi di tonnellate di beni alimentari basterebbero, ampiamente, per nutrire le centinaia di milioni di persone che soffrono la fame in tutto il mondo.
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