Gruppo Cap, l’acqua come volano di sviluppo sostenibile

Cap, l’utility che gestisce il servizio idrico integrato nella Città Metropolitana di Milano e in altri comuni lombardi, vuole abilitare percorsi circolari e sostenibili in settori come agricoltura, energia, rifiuti.

Nell’ultimo periodo, più che mai, in Italia si è parlato di acqua: di pioggia che manca e che arriva tutta insieme quando meno te l’aspetti, di qualità e sicurezza dell’acqua potabile, di acqua da difendere e preservare dalle microplastiche: il tema è centrale nel nostro Paese e a livello globale. D’altronde, si tratta di una risorsa preziosa e indispensabile: il ciclo idrico è un emblema della circolarità della natura e di come tutti i danni che creiamo finiscano inevitabilmente per tornare indietro.

Proprio di ciclo idrico integrato si occupa Gruppo Cap, la principale monoutility lombarda, che ha appena pubblicato il Bilancio di sostenibilità-Dichiarazione non finanziaria (Dnf) 2022. Il documento riunisce tutti gli impegni di Gruppo Cap in ambito economico, sociale e ambientale. Delle principali sfide e dei progressi raggiunti dal gruppo abbiamo parlato con Matteo Colle, head of external relations and sustainability di Gruppo Cap.

Matteo Colle Gruppo Cap
Matteo Colle, head of external relations and sustainability di Gruppo Cap © Gruppo Cap

Quali sfide pongono al vostro settore gli effetti dei cambiamenti climatici?
Gestiamo un asset, l’acqua, particolarmente esposto agli effetti dei cambiamenti climatici. Un esempio immediato e lampante è l’aumento dei periodi di siccità, che determina una minore disponibilità di questa risorsa. Ma l’aumento del calore incrementa anche il rischio di contaminazioni, favorendo la proliferazione dei batteri, e questo comporta per noi maggiori investimenti in strumenti di prevenzione e per una potabilizzazione ulteriore. Inoltre, la nostra rete è soggetta ai danni di allagamenti e nubifragi, che mettono alla prova anche il sistema fognario, che deve svolgere un’azione di drenaggio urbano per il quale non era stato progettato. Sicuramente, il commitment della nostra azienda rispetto al raggiungimento dell’obiettivo net zero è un’azione di rilievo strategico nella mitigazione dei cambiamenti climatici. Uno dei nostri pilastri è infatti la decarbonizzazione: Gruppo Cap ha già raggiunto la carbon neutrality, ma abbiamo fatto passi avanti importanti per un calcolo sempre più preciso dei gas serra che emettiamo, per esempio ampliando la rendicontazione delle emissioni della nostra catena di fornitura, classificate sotto la dicitura Scope 3.

In questo contesto difficile, l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione possono fare da leva per migliorare l’efficienza e la qualità dei servizi idrici?
Certamente. Il servizio idrico integrato è un’attività industriale ad alto tasso di capitali che richiede grandi investimenti per le proprie infrastrutture. Ed è un settore molto energivoro. Per ottimizzare questi investimenti, occorre un alto tasso di innovazione: per ridurre le perdite di rete, le emissioni di anidride carbonica, per gestire i consumi energetici, per ridurre l’impatto sulla biodiversità dovuto all’ampliamento delle reti, è indispensabile l’utilizzo delle tecnologie. Su tutti questi fronti, abbiamo programmato investimenti molto importanti. Abbiamo progetti per circa 70 milioni di euro, in gran parte finanziati dal Pnrr, per rinnovare le nostre reti e infrastrutture, per esempio dotandole di rilevatori in tempo reale della qualità dell’acqua e di sensori delle perdite. Completeremo anche la mappatura in 3d di tutte le reti per simulare gli interventi in studio, così da minimizzare poi l’impatto sul suolo.

Nella Dnf si legge che per Gruppo Cap l’acqua è un “volano per lo sviluppo sostenibile”. In che modo?
Riteniamo che il ciclo idrico integrato sia un abilitatore dello sviluppo sostenibile, perché consente a filiere spesso ancora molto tradizionali di mettere in atto processi circolari. Penso per esempio all’agricoltura, il principale consumatore netto d’acqua dolce a livello globale. Nelle aree dove l’acqua dolce scarseggia e le tecniche di irrigazione sono ancora poco evolute, l’acqua che noi depuriamo può essere riutilizzata in maniera efficace e sicura, così da rendere il settore agricolo autonomo dalla stagionalità e dalla siccità, o almeno in parte.
Ma anche la catena dei rifiuti, in particolare organici, vede nel ciclo idrico una fonte particolarmente virtuosa di energia, perché la tecnologia di digestione anaerobica permette di trasformare in biometano i fanghi di depurazione. Il ciclo idrico integrato consente anche il recupero, dalla depurazione dei fanghi, di nutrienti che altrimenti verrebbero ricavati in modo insostenibile, come azoto e fosforo, un elemento di cui c’è grande carenza a livello mondiale. È a questi esempi che ci riferiamo nel definirci una ‘green utility’.

Nella Dnf 2022 si parla molto dei temi di diversity & inclusion, argomento che sembra stare particolarmente a cuore alla vostra impresa. A che punto vi sentite nella strada verso la piena inclusione?
Un po’ a metà strada: guardando il panorama delle imprese italiane, posso dire che Gruppo Cap ha portato avanti molte iniziative virtuose, ma allargando lo sguardo alle best case, sicuramente c’è ancora molta strada da fare. La nostra organizzazione si occupa di processi industriali che per molto tempo sono stati appannaggio degli uomini: risente quindi di alcuni bias culturali che piano piano stiamo superando. È noto che, nelle discipline Stem, l’Italia registra un divario tra i generi, che tuttavia abbiamo iniziato a ridurre. Attualmente sono in organico parecchie donne con curriculum invidiabili. Tra l’altro, a capo delle operations c’è appunto un’ingegnera.

Gruppo CAP gestisce l'acqua
La nuova sede di Gruppo Cap è un luogo di incontro con il territorio: contiene anche una biblioteca aperta al pubblico © Gruppo Cap

Al di là del gender gap, credo che l’inclusività si misuri nella capacità di un’organizzazione non solo di accogliere le diversità, ma anche di fare in modo che le differenze creino valore per il business. Per esempio, a seguito dell’attività dell’Istituto dei ciechi Dialogo nel buio, su suggerimento di alcuni colleghi ipovedenti abbiamo creato il primo contratto in braille, mentre abbiamo inserito nel servizio clienti digitale un software che permette l’utilizzo anche da parte di utenti sordi. Sono due esempi di esperienze che hanno trasformato la differenza in una ricchezza, aiutandoci a individuare nuove soluzioni e quindi creando valore aggiunto per tutti.

Con un’operazione di trasparenza, avete evidenziato in Dnf anche gli aspetti per i quali è risultato particolarmente difficile raggiungere i risultati prefissati: di quali le dispiace maggiormente?
La scelta di raccontare gli obiettivi che non si sono centrati pienamente è doverosa e dimostra che la sostenibilità è un percorso, fatto di passaggi incrementali in cui, anche per ragioni esterne, può capitare di fare qualche passo indietro. Bisogna essere consapevoli che organizzazioni complesse a volte possono incontrare qualche pietra d’inciampo sul loro cammino. È anche una riprova di come gli obiettivi fossero sfidanti: ci siamo messi davvero alla prova. L’aspetto che mi crea i maggiori rammarichi, perché abbiamo minori capacità di incidere, è l’obiettivo relativo all’acqua del rubinetto. Il nostro piano di sostenibilità prevede che promuoviamo l’acqua del rubinetto rispetto all’uso dell’acqua in bottiglia, attraverso attività di informazione e sensibilizzazione. Questo è uno dei casi in cui non solo l’obiettivo è lontano dall’essere raggiunto, ma con i due anni di pandemia si sono fatti passi indietro. Anche se siamo tornati sulle percentuali pre-Covid, è un obiettivo che vediamo molto lontano. Purtroppo, è molto difficile incidere sui comportamenti individuali e sulle abitudini dell’utente finale. Un tema più ‘nostro’ su cui possiamo fare meglio sono le perdite, un fenomeno che non è possibile azzerare, ma va ridotto ai suoi limiti fisiologici: nonostante siamo ai livelli più bassi d’Italia, siamo ancora lontani da quel 12-15 per cento che si ritiene l’ideale.
Dobbiamo ancora investire e lavorare, è un cammino su cui abbiamo fatto dei buoni passi avanti, ma manca ancora un po’ di strada.

Quali sono gli obiettivi che avete pianificato per migliorare ulteriormente le prestazioni ambientali e sociali del gruppo?
Tra i molti progetti, i più interessanti riguardano l’economia circolare e in particolar modo l’autoproduzione di energia. Innanzi tutto, grazie alla produzione di biometano rivendiamo già più gas di quanto ne utilizziamo. Ora abbiamo intenzione di sfruttare in modo più intensivo gli ampi spazi di cui disponiamo per costruire impianti fotovoltaici, così da promuovere e diffondere le comunità energetiche rinnovabili. Un buon esempio di come il servizio idrico integrato è abilitatore di sviluppo sostenibile sul territorio. In questo modo, peraltro, ridurremo il consumo netto dei nostri impianti e quindi le emissioni, un tema che ci sta particolarmente a cuore.

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