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Le piante selvatiche, inserite in migliaia di prodotti di consumo quotidiano, sono sempre più vulnerabili. Un rapporto Fao lancia l’allarme.
Dalla gomma arabica nella soda fino alla liquirizia nella tisana passando per il burro di karité nei prodotti da forno e il ginepro nei gin: migliaia di prodotti di consumo in tutto il mondo contengono ingredienti ottenuti da piante selvatiche tanto che negli ultimi vent’anni la domanda è cresciuta del 75 per cento. E la conseguenza è che molte specie sono ora a rischio.
Lo rivela un rapporto della Fao pubblicato in occasione della scorsa Giornata della Terra: l’indagine ha valutato il rischio e le opportunità, dal punto di vista biologico e sociale, della commercializzazione di dodici piante selvatiche emblematiche con l’obiettivo di fornire indicazioni per rendere più sostenibile il loro utilizzo. Si tratta di candelilla (Euphorbia antisyphilitica), idraste (Hydrastis canadensis), noce brasiliana (Bertholletia excelsa), ginepro (Juniperus communis), liquirizia (Glycyrrhiza glabra), nardo (Nardostachy jatamansi), pigeo africano (Prunus africana), karité (Vitellaria paradoxa), acacia senegal (Senegalia senegal), argania (da cui si ottiene l’olio di argan), baobab (Adansonia digitata), Boswellia sacra (da cui si ricava l’incenso).
La maggior parte delle piante selvatiche proviene da zone ricche di biodiversità e ha legami culturali ed economici con le popolazioni locali. Si stima che da esse dipenda il sostentamento di circa un miliardo di persone. Mentre si è calcolato che nel 2020 solo negli Stati Uniti sono stati spesi oltre 11 miliardi di dollari in integratori alimentari a base di erbe, stime preliminari suggeriscono che la pandemia di Covid-19 ha rinnovato l’interesse per l’uso delle piante selvatiche come ingredienti nella medicina tradizionale e moderna. L’eccessivo sfruttamento unito ai cambiamenti climatici e alla perdita di habitat sta minacciando però la sopravvivenza delle piante selvatiche: all’interno del 21 per cento delle piante selvatiche valutate dalla Fao, il 9 per cento rischia l’estinzione.
“L’uso delle piante selvatiche ha implicazioni per la sicurezza alimentare e per la sussistenza di milioni di persone in tutto il mondo – ha affermato Sven Walter che dirige il team Fao per i prodotti forestali – È tempo che le piante selvatiche siano prese in seria considerazione nei nostri sforzi per proteggere e ripristinare gli habitat, promuovere sistemi agroalimentari sostenibili e costruire economie inclusive, resilienti e sostenibili, in particolare mentre i Paesi lavorano alla ripresa post-Covid”.
Il rapporto aiuta a comprendere come siano diffuse le piante selvatiche nella nostra quotidianità, senza che ce ne rendiamo conto: nell’ambito dell’alimentazione, per esempio, uno degli ingredienti riconducibili alle piante selvatiche e spesso nascosto in altri prodotti, è il burro di karitè, uno degli oli vegetali commestibili più antichi, ricavato da semi la cui raccolta contribuisce al reddito di tre milioni di donne in Africa; ricco di grassi sani, è spesso usato come equivalente del burro di cacao, per esempio nei prodotti da forno, ma la pianta da cui è estratto è stata valutata dal rapporto come vulnerabile. C’è poi la gomma arabica, ingrediente utilizzato per la soda che proviene da acacie caratteristiche del Sahel, in Africa: si tratta di alberi che contrastano la desertificazione e portano reddito ai contadini, ma che sono sempre più minacciati dai cambiamenti climatici. È la deforestazione, invece, a rappresentare un rischio per gli alberi selvatici delle noci del Brasile, tipici dell’Amazzonia.
Mettendo a disposizione di tutti queste e altre informazioni il rapporto vuole contribuire dunque a un approvvigionamento e a un consumo più responsabili di queste piante – trasparenza, tracciabilità e certificazioni sono alcuni degli strumenti suggeriti per migliorare la sostenibilità della filiera – così da tutelarle e proteggere la biodiversità e le popolazione che ne dipendono.
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