Il 25 febbraio si sono tenute le elezioni in Nigeria. Il paese più popoloso d’Africa, con 213 milioni di abitanti, è stato chiamato alle urne per eleggere un nuovo presidente che subentrerà all’uscente Muhammadu Buhari. A tre giorni dall’election day, tuttavia, non si è ancora capito chi sia il vincitore. I risultati ancora parziali provenienti dai seggi scrutinati danno in vantaggio il candidato del partito di governo Bola Ahmed Tinubu, ma i ritardi organizzativi nel conteggio dei voti hanno alimentato le accuse di brogli da parte dell’opposizione.
Aggiornamento del 28 febbraio 2023
I ritardi nei conteggi e le contestazioni dell’opposizione
Sono passati tre giorni dalle elezioni in Nigeria, ma il paese è ancora senza un nuovo presidente. La colpa è soprattutto dei ritardi organizzativi che hanno caratterizzato le fasi di spoglio, suscitando non poche contestazioni da parte delle opposizioni per la paura di possibili brogli. Quest’anno le elezioni si sono avvalse di un nuovo sistema per la registrazione del voto, che avrebbe dovuto permettere ai quasi 180mila seggi sparsi per il paese di caricare in poco tempo i risultati elettorali. A vigilare sull’intero processo è la Commissione elettorale nazionale indipendente (Inec) aveva annunciato come questo sistema avrebbe garantito elezioni trasparenti.
Is this your first time voting in an election? With the BVAS device be rest assured that your vote will count in this #NigeriaDecides2023 election. Come out and exercise your right to vote in a peaceful manner. Remember; No PVC No Voting 🗳️ pic.twitter.com/bZCN7azGRG
La realtà, tuttavia, non ha rispettato le attese: in molti seggi i risultati sono stati raccolti manualmente all’interno dei centri di spoglio delle circoscrizioni e dei governi locali, come nei precedenti scrutinio. Ne è risultato un rallentamento complessivo delle operazioni testimoniato dal dato rilasciato ieri pomeriggio dall’Inec, in posesso dei risultati di appena 66.167 unità elettorali su un totale di 178.846. Ne è scaturita la protesta delle opposizioni, specie perchè i primi dati davano in vantaggio il candidato del partito di governo Bola Ahmed Tinubu. Il conteggio dei risultati provvisori ha mostrato che Tinubu, del Congresso di tutti i progressisti, era in vantaggio con il 39,7%, pari a 5,4 milioni di voti validi, contro il 32,2%, pari a 4,4 milioni di voti, di Atiku Abubakar, del Partito democratico popolare, principale partito di opposizione. L’outsider Peter Obi, candidato del Partito laburista, ha vinto a Lagos, città più ricca e poplosa del paese, piazzandosi complessivamente al terzo posto con circa il 16,3% e circa 2,2 milioni di voti.
Perché le elezioni in Nigeria sono importanti a livello globale
La Nigeria è considerata uno degli Stati con i maggiori margini di crescita a livello globale, sostenuti in gran parte dai profitti dell’industria petrolifera. Secondo i dati dell’International Energy Agency (Iea), La Nigeria è il settimo esportatore di petrolio al mondo con 99 milioni di tonnellate di greggio nel 2019. Il paese entra quindi di diritto nel cosiddetto Mint, l’acronimo coniato dall’economista britannico Jim O’Neill per indicare i prossimi giganti dell’economia mondiale e che comprende Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia. Per intenderci, O’Neill era stato l’inventore del termine Brics – Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – che identificava come emergenti economie che, oggi, rapprensentano alcuni delle “fette” più grandi del Pil mondiale.
Per scalare posizioni e rivestire il ruolo attribuitogli dagli analisti, la Nigeria potrà fare affidamento sulle giovani generazioni. Come molti paesi africani ha una carta di identità particolarmente incoraggiante, con quasi il 70 per cento della popolazione al di sotto dei 30 anni. Molti di loro si identificano nella cosiddetta “generazione delle teste di cocco“, e cioè i giovani più volitivi e intraprendenti, le “teste dure” convinte di poter rappresentare la svolta del proprio paese dal punto di vista imprenditoriale, sociale e anche politico. Parte di quest’energia traformativa ha trovato sfogo a Lagos, la città più all’avanguardia, dove sono sorti molti dei 90 hub tecnoligici all’avanguardia censiti sul suolo nigeriano.
Finisce l’era di Buhari
Le elezioni in Nigeria sanciscono la fine della presidenza di Muhammadu Buhari che ha raggiunto il limite costituzionale dei due mandati e non può dunque ricandidarsi dopo gli otto anni trascorsi al governo del paese africano. Buhari è diventato presidente nel 2015, quando si è presentato alle presidenziali come candidato del Congresso di tutti i progressisti, una sorta di partito pigliatutto nato due anni prima dalla confluenza di tre grandi soggetti politici nigeriani provenienti da culture politiche differenti: i liberali di centrosinistra del Congresso d’Azione della Nigeria, i conservatori sociali di centrodestra del Partito del popolo di tutta la Nigeria e il Congresso per il cambiamento progressista, partito progressista di centro e già sostenitore di Buhari in passato.
Ma la storia di Buhari al potere era iniziata ben prima della sua prima elezione democratica. Era stato l’artefice di un colpo di stato che ha dato vita a una giunta militare che ha guidato la Nigeria dal 1983 al 1985. In quegli anni aveva guidato il governo in quella che la giunta militare di allora aveva definito una campagna contro la corruzione imperante che attanagliava il Paese. Nell’arco della sua presidenza Buhari ha cercato di recuperare e mantenere quest’aura da leader integerrimo, moralmente impenetrabile e nemico della corruzione, l’artefice della Guerra contro l’indisciplina lanciata nel 1984 che proprio alla crisi della pubblica morale si scagliò con metodi militareschi com’era nella natura di quel regime.
Da dove riparte il vincitore delle elezioni in Nigeria
Nel corso dei due mandati Buhari ha continuato a presentarsi come l’uomo della provvidenza che avrebbe potuto risollevare le sorti del paese più popoloso d’Africa, ma le cose non sono andate esattamente così. L’economia della Nigeria ha iniziato a rallentare a partire dal 2015, anno nel quale la ricchezza dei nigeriani ha iniziato a ridursi progressivamente. Nonostante dopo la definitiva entrata in recessione a ridosso del periodo pandemico si sia registrato un modesto rialzo del prodotto interno lordo (pil), non si può dire che questo abbia migliorato le condizioni della popolazione.
Tra il 2015 e il 2019, infatti, il reddito medio procapite era passato da 5.400 a 4.900 dollari. Nel frattempo, è cresciuta la povertà assoluta: secondo le ultime stime sarebbero 71 milioni le persone sotto la soglia di povertà che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno, un terzo della popolazione totale. L’industria petrolifera, la più importante fonte di ricchezza del paese, ha risentito del crollo del prezzo del greggio verificatosi nei primi anni di presidenza Buhari, mentre il protrarsi della guerra in Ucraina ha peggiorato il peso dell’inflazione in crescita da anni.
Sul piano sociale e della sicurezza la situazione non è migliore. In molti ancora ricordano le violente repressioni del governo contro il movimento di protesta conosciuto con l’hashtag #EndSARS nel 2020, che chiedeva lo smantellamento della polizia speciale nigeriana, accusata di torture inaudite. Ad alimentare le tensioni è anche la grande frammentarietà della società, composta da oltre 250 gruppi etnici e divisa confessionalmente tra un sud prevalentemente cristiano e un nord musulmano.
Il numero delle vittime degli scontri tra i numerosi gruppi armati interni facenti capo a organizzazioni criminali o movimenti secessionisti è drasticamente aumentato negli anni. Un contesto ovviamente aggravato dalla presenza di Boko haram, l’organizzazione jihadista nata in Nigeria che deve parte del suo consolidamento proprio al conflitto interreligioso che divide lo stato africano. Ma se i gruppi islamisti presidiano prevalentemente gli stati del nordest, episodi di violenza meno organizzata ma altrettanto efferata sono diffusi anche a nordovest. I movimenti secessionisti organizzati in gruppi paramilitari contribuiscono ad alimentare terrore a sud. Il quadro è andato peggiorando con l’avvicinarsi del voto, con circa “diecimila nigeriani morti a causa di attacchi violenti e cinquemila rapimenti accertati nel 2022,” fa sapere l’ong The Africa center.
In the South East region of #Nigeria, Anambra state saw the highest levels of political violence during the first half of February, driven primarily by clashes between communal groups and attacks on civilians, police stations, and election offices.https://t.co/arbEERY7YL
— Armed Conflict Location & Event Data Project (@ACLEDINFO) February 22, 2023
Tra la crisi del petrolio e quella del clima
Il tema della crisi ambientale non può certo essere relegato a questione d’appendice quando parliamo del più grande produttore di petrolio in Africa. Un primato che, però, dal 2020 è stato minacciato da un calo costante, fino a sperimentare un vero e proprio crollo della produzione lo scorso ottobre, come certificato dalla Commissione nazionale per la regolamentazione del petrolio. La Nigeria è arrivata ai livelli più bassi degli ultimi 32 anni, scendendo a 980mila barili al giorno (nel 2011 erano 2,1 milioni) e cedendo di fatto il primato produttivo all’Angola. Al contempo sono stati scoperti diversi chilometri di oleodotti clandestini infrastruttre illegali spesso controllate da vere e proprie organizzazioni criminali. Oltre a sottrarre tonnellate di idrocarburi al conteggio complessivo della produzione nazionale, mettono in serio pericolo interi territori e comunità, specie quelli del delta del Niger.
La stessa regione da cui, poche settimane fa, sono partite le quasi 14mila richieste di risarcimento per i danni causati dalle operazioni estrattive del colosso del fossile Shell. A presentarle sono stati cittadini, organizzazioni religiose e altri enti nigeriani presso l’alta corte di Londra. In quell’area gli sversamenti di petrolio hanno letteralmente invaso le sponde e il letto del fiume, compromettendo gli ecosistemi e la vita delle comunità locali in sofferenza da decenni. Inoltre, come per altri paesi dell’area orientale, la Nigeria è stata travolta dalle violente inondazioni della scorsa estate che hanno aggravato il bollettino umanitario del Paese causando oltre 600 morti e più di un milione di sfollati. Secondo l’Unicef sarebbero circa 2,5 milioni le persone ad aver bisogno di assistenza, il 60 per cento delle quali sarebbero bambini.
Chi sono i candidati alle elezioni in Nigeria
Il voto eleggerà sia il presidente che i membri del Parlamento, 109 senatori e 360 deputati. In una tornata successiva prevista a marzo verranno poi eletti 31 dei 36 governatori statali. Per la carica presidenziale ci sono 18 candidati, anche se sembra verosimile che le urne determineranno una corsa a 3 dall’esito ancora piuttosto incerto.
Sovvertiamo l’ordine delle cose: in principio c’è lunderdog, ovvero il candidato a sorpresa che potrebbe competere con i politici di lungo corso. Nelle ultime settimane si è fatto un gran parlare di Peter Obi sui mezzi d’informazione internazionali. Il candidato del Partito laburista ed ex governatore dello stato sudorientale di Anambra potrebbe infatti contendere la guida del Paese ai decani della politica alle prossime elezioni in Nigeria. Obi è diventato popolare all’elettorato under30 per le posizioni prese durante #EndSARS e per aver più volte sottolineato la necessità di bloccare la “fuga di cervelli” dei giovani del paese. In Nigeria, dove il disinteresse politico è una costante rappresentata dal 35 per cento raccolto nel 2019, il tema dell’elettorato giovanile non è da sottovalutare, contando che quasi il 70 per cento ha meno di 30 anni. Obi rappresenta poi anche personalmente la discontinuità: è di etnia Igbo – il terzo gruppo del paese dopo quello Hausa e Yoruba – ed è cristiano, mentre gli altri principali candidati sono musulmani.
Ad avere l’investitura del presidente uscente è Bola Ahmed Tinubu, ex governatore del ricco stato di Lagos e candidato del Congresso di tutti i progressisti, il partito di governo. Con un passato manageriale tra le fila di Mobil Oil Nigeria, azienda petrolifera controllata da Exxon, Bola Tinubu è molto conosciuto in patria per aver contribuito all’affermazione della città di Lagos, tanto da essere diventato oggetto di un documentario, The Lion of Bourdillon, che nel 2015 lo dipingeva come “il padrino di Lagos” e che è costata ai produttori una causa per diffamazione. Lagos è una megalopoli da centro moderno ed estremamente ricco, contornato da baraccopoli disastrate e condannate alla crisi sociale e ambientale, forse l’esempio più lampante di uno sviluppo basato sull’allargamento della forbice delle disuguaglianze e sulla corruzione presenti nel continente. Secondo alcuni analisti i 70 anni e i recenti problemi di salute di Bola Tinubu potrebbero giocare a suo sfavore, ma in realtà anche Buhari ha dovuto temporaneamente assentarsi dalla vita politica per problemi analoghi senza che questo intaccasse in modo significativo la solidità del suo governo.
I am not a contestant in the coming election, but my party, @OfficialAPCNg, has a candidate in the person of Asiwaju Bola Ahmed Tinubu. I am calling on all of you to vote for @officialABAT. He is reliable, a true believer in Nigeria, and he will build on our achievements. pic.twitter.com/RMHlCFuOiy
Il secondo candidato più quotato è Atiku Abubakar, conservatore a capo del Partito democratico popolare, l’altro grande partito della Nigeria. La carriera di Abubakar è stata fino ad ora segnata da sconfitte alle presidenziali, a cui si è presentato per ben sei volte. Nel 2019 arrivò secondo alle spalle di Buhari, ma ricoprì il ruolo di vicepresidente all’inizio degli anni Duemila, durante la presidenza di Olusegun Obasanjo. Come per Tinubu, i 70 anni di Abubakar lo rendono una figura di continuità con i leader politici che hanno incarnato lo “status quo” negli ultimi anni in Nigeria.
Un “termometro” per le democrazie del continente
L’attuale presidente nigeriano Buhari non si ripresenterà alle elezioni in Nigeria, come previsto dalla Costituzione nigeriana, in vigore dal 1999. Un dato non scontato e segno della solidità istituzionale di un paese senza dubbio complesso, ma le cui trasformazioni rappresentano se non altro un paradigma per molti altri Stati africani. In un’ intervista rilasciata al quotidiano britannico Guardian, l’esperto di democrazie africane e professore dell’Università di Birmingham, Nic Cheeseman, ha detto che “se le elezioni in Nigeria avranno successo e si svolgeranno in maniera democratica, sarà un grande passo avanti per la democrazia di tutto il continente. Ma attenzione: è vero anche il contrario“. Un’incognita a cui solo l’esito delle urne saprà dare un’indicazione.